Gli anni Dieci hanno segnato il lancio dei primi modelli di smart glasses, dispositivi dei quali si continua a parlare ancora molto, anche per i rischi legati alla privacy.

Gli smart glasses (letteralmente “occhiali intelligenti”) sono computer indossabili e connessi a Internet. Si tratta di dispositivi con un’ampia gamma di funzioni: dalla possibilità di visualizzare informazioni in realtà aumentata, alla capacità di scattare foto o registrare video. Fanno parte dei cosiddetti “wearable devices”, strumenti integrati nel vestiario o negli accessori dell’utente e collegati alla sua rete di dispositivi.

In altre parole, stiamo parlando di piccoli dispositivi in grado di registrare un audio mentre andiamo in bici, oppure di aprire le mappe direttamente nel nostro campo visivo.

Ma torniamo indietro di qualche anno. Già nel 2014, con l’espressione “informatica indossabile”, ci si riferiva a quell’insieme di “oggetti e indumenti di uso quotidiano, come orologi e occhiali, dotati di sensori per espandere le proprie funzioni”.

Le prime sfide risalgono ai tempi del “Project Glass” di Google e delle dichiarazioni sul tema da parte della Oakley, società del gruppo Luxottica.

A differenza del passato, le odierne generazioni di smart glasses hanno visto una crescente attenzione per il design, accompagnando nuove funzioni tecnologiche a rifiniture iconiche. Si pensi ai Ray Ban Stories, presentati da Meta ed Essilor Luxottica come un “incontro fra tecnologia innovativa e stile all’avanguardia”.

È il 2012: arrivano i Google glasses!

Sono passati undici anni da quando la società di Mountain View ha annunciato l’arrivo dei Google Glasses (qui trovate un video dell’epoca, in cui venivano descritte alcune funzioni). Al tempo, rispetto alle preoccupazioni sollevate dalle autorità europee, Google aveva risposto affermando di aver adottato un approccio “privacy-by-design” fin dalla progettazione dei dispositivi: ad esempio, garantendo l’attivazione di luci e suoni nel momento in cui gli occhiali avrebbero scattato foto oppure registrato video. Tuttavia, alcuni hacker avevano dimostrato la possibilità di alterare il sistema di notifiche, disattivandolo.

In ogni caso, i dispositivi non hanno trovato l’accoglienza sperata. Così, nel 2015, Mountain View ha comunicato che non avrebbe più prodotto Google Glasses per il mercato dei consumatori.

Ma la storia degli occhiali intelligenti non si è fermata: Snapchat Spectacles, Xiaomi Smart Glasses, Amazon Echo Frames e Bose Frames sono solo alcuni dei prodotti lanciati nel corso degli ultimi anni (se vi interessa un’analisi delle loro funzioni, potete approfondire l’argomento qui).

E poi, che succede? Occhiali intelligenti e possibili rischi

Immaginate di essere al vostro bar preferito. È lunedì mattina, e accanto a voi sta facendo colazione un ragazzo con gli occhiali da sole. Vi scatta  una foto, e non ve ne accorgete: non ha utilizzato uno smartphone, né altri dispositivi visibili. Gli è bastato sfiorare la montatura e appuntare lo sguardo su di voi, per qualche istante. A questo punto, una domanda sorge spontanea: gli smart glasses sono davvero un rischio per la privacy? O quantomeno, lo sono più degli altri dispositivi indossabili (o meno) attualmente in uso?

Nel 2021, Meta ha rilasciato un Report sui diritti umani, analizzando i rischi connessi alle proprie tecnologie. Il rapporto ha dedicato una sezione proprio ai Ray-Ban Stories sopra menzionati. Il report ha individuato alcune potenziali criticità – come, ad esempio, il consenso degli astanti, che potrebbero essere ripresi o fotografati a loro insaputa.

Rispetto a queste problematiche, Meta ha individuato una serie di azioni per ridurre i fattori di rischio; ad esempio, è indicata l’adozione di policy d’uso. Tra le possibili soluzioni, è anche ricordata la previsione di ulteriori segnali per gli utenti, nel momento in cui si catturano contenuti. Ad oggi, i Ray-Ban Stories garantiscono questa funzione grazie a un “led di acquisizione”: ossia, un segnale luminoso che si attiva quando si sta scattando una foto o registrando un video, proprio per avvertire le persone intorno.

Ray-ban stories: l’incontro con il Garante Privacy

Sul caso Ray Ban Stories nel 2021 è intervenuto anche il Garante Privacy, chiedendo informazioni sulla nuova tecnologia e sulla base giuridica utilizzata dalla società di Menlo Park per trattare i dati. A riguardo, Facebook e Luxottica si sono dichiarati disponibili ad implementare, anche in sinergia con il Garante, campagne per informare e responsabilizzare sia gli utenti che i cittadini sui dispositivi.

Tuttavia, come tra l’altro ha osservato anche il Report, i potenziali pericoli connessi ai Ray-Ban Stories sono gli stessi che potrebbero verificarsi attraverso qualsiasi dispositivo con caratteristiche simili. Dettaglio significativo. Inoltre, per quanto banale, occorre ricordare che non sono le nuove tecnologie ad essere di per sé un pericolo per la privacy: lo è il loro utilizzo errato o, comunque, l’assenza di adeguati strumenti di garanzia per gli utenti.

Smart glasses a lavoro: ottimizzazione delle prestazioni?

Ideati per l’uso quotidiano, oggi gli smart glasses sono arrivati anche in azienda.

In tal senso, si pensi ai Glass Enterprise di Google: una linea di occhiali intelligenti progettati per il lavoro. Questi smart glasses sarebbero in grado di aumentare la concentrazione di chi li indossa, rimuovendo le distrazioni; o ancora, di avviare collaborazioni in tempo reale – consentendo, ad esempio, a terzi di connettersi alla propria visuale. Inoltre, questi dispositivi aumenterebbero la sicurezza del lavoratore stesso (se ti interessa approfondire l’argomento dell’IoT e della sicurezza sul lavoro, ne abbiamo parlato qui).

Ma c’è anche chi rileva che l’impiego delle nuove tecnologie potrebbe trasformarsi in uno strumento di sorveglianza dei lavoratori, fino agli scenari dell’algorithmic management (sul tema, puoi trovare un nostro articolo dedicato).

Non solo: gli smart glasses hanno trovato spazio anche nella sanità. L’impiego degli occhiali intelligenti in campo medico rientra in quell’insieme di tecnologie innovative che oggi compongono il quadro dell’e-health.

Già nel 2013, la University of California San Francisco osservava come il ricorso a queste tecnologie garantisse maggiore precisione e sicurezza in sala operatoria.

Lo scorso giugno, presso l’Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, è avvenuta la prima operazione cardiochirurgica che ha visto l’utilizzo congiunto di robotica e smart glasses.

Ma il loro impiego si fa sempre più quotidiano: il 2023 si è aperto con la notizia della sostituzione di una PEG (ossia un sondino per l’alimentazione) con l’utilizzo degli smart glasses. Grazie agli occhiali, la procedura è stata gestita in sicurezza presso il domicilio del paziente.

E in questi casi, come regoliamo il loro utilizzo?

Dal punto di vista privacy, l’impiego degli smart glasses in ambito lavorativo dovrà essere regolato alla luce del GDPR e dello Statuto dei lavoratori.

Inoltre, il ricorso a queste tecnologie potrebbe essere ricompreso nei punti 5 che 7 del Provvedimento n. 467/2018 del Garante: in questi casi, prima di procedere alla loro adozione, sarà necessario procedere ad una Valutazione d’Impatto sulla Protezione dei Dati (cd. “DPIA”), ai sensi dell’art. 35 GDPR.

Nel caso di utilizzo in campo medico, potrebbero entrare in rilievo i dati sanitari dei pazienti: dovrà quindi essere preso in considerazione anche l’articolo 9 GDPR (categorie particolari di dati). Anche in questo caso, qualora i dati trattati non siano anonimi, sarà necessaria l’elaborazione di una preventiva DPIA.

Smart glasses e smart city: un contributo alla sicurezza?

Gli occhiali intelligenti hanno cominciato a farsi strada nel contesto delle smart city.

Lo scorso autunno il Garante Privacy ha avviato un’istruttoria nei confronti del Comune di Arezzo, in seguito all’annuncio della dotazione di “super occhiali infrarossi” alla polizia locale. I dispositivi, grazie alla connessione con banche dati nazionali, consentirebbero di accertare la validità dei documenti dei conducenti, partendo dalla rilevazione del numero di targa della vettura. A riguardo, il Garante ha evidenziato la necessità di rispettare le tutele previste dalla normativa privacy vigente e dallo Statuto dei lavoratori. L’autorità ha poi precisato che il Comune dovrà sia fornire una copia dell’informativa privacy agli interessati del trattamento (rispettivamente, i cittadini e gli agenti di polizia locale), sia elaborare una preventiva DPIA.

In altri contesti, invece, la situazione è ben diversa: già nel 2018, Insider riportava che a Pechino le forze di polizia impiegassero smart glasses basati su tecnologie di riconoscimento facciale (quindi, implicanti l’utilizzo di dati biometrici) per monitorare il traffico. Secondo l’articolo, i dispositivi avrebbero consentito l’identificazione dei passeggeri e delle vetture in una manciata di secondi.

I rischi connessi alle tecnologie di sorveglianza (e, in particolare, a quelle basate sul trattamento di dati biometrici) sono particolarmente pervasivi sia a causa della particolarità dei dati trattati, sia per gli effetti che potrebbero avere sui gruppi vulnerabili. Si pensi, ad esempio, all’impatto che un dispositivo di riconoscimento facciale potrebbe comportare in contesti in cui le minoranze etniche sono oggetto di persecuzioni.

Tra le campagne avviate per limitare l’adozione delle tecnologie biometriche, è possibile ricordare “Ban The Scan”, avviata nel 2021 da Amnesty International.

Ma quindi, gli smart glasses sono un pericolo per la privacy?

Se siete arrivati fin qui, forse sarete delusi dalla risposta: potrebbero. Non esiste una risposta certa alla nostra domanda iniziale.

Ad oggi, possiamo osservare che gli smart glasses presentano le stesse insidie (ed opportunità) di qualsiasi altra tecnologia con caratteristiche simili. E, come già considerato sopra, i pericoli derivanti da un certo dispositivo dipendono sempre dalle finalità per cui esso viene impiegato, nonché dalla solidità delle tutele offerte dal diritto.

Una cosa è certa: gli utenti possono essere vulnerabili. Per questo, è di fondamentale importanza rafforzare gli strumenti preposti alla loro protezione.