L’avvento dei social network ha inciso così profondamente nelle relazioni umane che anche il tradimento oggi si consuma tra le mura digitali di Facebook o di Instagram.
Quando il tradimento virtuale rileva ai fini dell’addebito della separazione?
Tradimento e social network
La realtà virtuale ha facilitato le occasioni di incontro…e di tradimento. Da un like su Facebook o da un complimento in chat possono nascere relazioni clandestine destinate a consumarsi off line. E il tradimento, si sa, è una delle più frequenti cause di separazione. Anzi, quando scatena la crisi coniugale, il tradimento può comportare l’addebito della separazione, precludendo al coniuge fedifrago di chiedere l’assegno di mantenimento e di rivendicare diritti successori.
Così la pubblicazione sui social di selfie in dolce compagnia (…non del coniuge) può determinare l’applicazione dell’addebito, ma deve trattarsi di prove inconfutabili circa l’esistenza di una relazione extraconiugale. Del resto la selfie-mania impera nella società moderna e la pubblicazione di una fotografia con un collega, un amico o persone diverse dal coniuge è una pratica comune.
Esiste il tradimento virtuale?
I selfie pubblicati dall’amante o i messaggi privati inviati tramite social possono costituire la prova di una relazione extraconiugale, magari nata proprio on line e sfociata in una vera e propria infedeltà.
Oggi, però, anche navigare in Internet in cerca di relazioni adulterine e flirtare via chat può integrare un tradimento. La violazione del dovere di fedeltà non richiede necessariamente un tradimento fisico quando il comportamento posto in essere è idoneo a compromettere la fiducia nel partner mettendo in crisi il matrimonio.
La condotta realizzata in rete può essere quindi parificata alla condotta compiuta nel mondo reale. L’avvento dei social ha mutato lo stesso concetto di tradimento, che assume un’accezione più estesa e complessa, comprensiva della sfera spirituale dell’individuo.
La prova del tradimento virtuale tramite social: quando è reato?
Selfie, commenti e post pubblicati sui vari social network sono pacificamente utilizzabili nei processi di separazione ai fini dell’addebito. Tali informazioni non sono coperte dal diritto alla privacy, in quanto sono accessibili a chiunque, se il profilo è pubblico, o a una limitata cerchia di persone, se il profilo presenta restrizioni (attenzione però al rischio di furto del profilo social, di cui abbiamo parlato qui).
Il problema si pone quando la prova dell’infedeltà è data da messaggi privati che, più o meno intenzionalmente, sono stati scoperti dal coniuge. Lo scambio di messaggi privati tramite social va assimilato a forme di corrispondenza privata e come tale deve ricevere la massima tutela sotto il profilo del diritto alla riservatezza. Il coniuge “curioso” rischia di vedersi coinvolto in un processo penale per aver commesso il reato di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615 ter c.p.).
Tradimento virtuale tramite social network, separazione e privacy
La sede penale deve essere distinta da quella civile. In sede civile manca una norma che sancisca l’inutilizzabilità delle prove assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Pertanto nel procedimento di separazione le prove del tradimento possono essere ammesse nonostante l’acquisizione illecita, se ciò serve per esercitare il diritto di difesa.
È tuttavia necessario che tale materiale costituisca l’esclusiva fonte di prova del tradimento e che i dati personali del coniuge infedele siano trattati solamente per finalità difensive.
Per un diverso orientamento non può nemmeno ritenersi illecito spiare le chat del marito o della moglie quando cellulari o pc sono lasciati incustoditi in casa. In un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti, quale quello coniugale, si assiste infatti ad un affievolimento della sfera della privacy.