Chip sottocutaneo: di cosa si tratta? È un dispositivo sicuro?

Siete al supermercato, avete appena concluso la spesa del mercoledì sera. Carrello quasi pieno, stanchezza di fine giornata. Vi avviate ai tornelli per pagare. Sì, avete letto bene: non alle casse, ai tornelli. Sollevate la mano sinistra – e, bip! Il vostro chip sottocutaneo ha scalato automaticamente l’importo dalla vostra carta prepagata. Ora siete pronti per tornare a casa: copertina e Netflix vi aspettano.

Fantascienza? Non proprio. Questi strumenti, generati dal mondo della microelettronica e oggi integrati nella maggior parte dei dispositivi che ci circondano, in un futuro non troppo lontano potrebbero affermarsi come componente dei nostri corpi.

Per “chip” si intende un circuito elettronico, che al suo interno racchiude un processore. Pochi millimetri di diametro, per tecnologie sempre più sofisticate. A differenza dei dispositivi tradizionali, i chip sottocutanei si caratterizzano per essere impiantati direttamente nel corpo umano. Di regola, attraverso un codice identificativo (ID) lo strumento viene collegato a un database esterno. Domotica, riconoscimento, pagamenti, accesso ai documenti personali, apertura della propria auto o di porte e tornelli: le finalità possono essere le più disparate.

Rispetto alle tecnologie innestate o comunque connesse al corpo umano, alcuni parlano di Internet of Bodies: un ulteriore passaggio dell’IoT (Internet of Things), dimensione in cui oggi siamo immersi.

Da Walletmor a BioTeq, negli ultimi anni sono emerse diverse società dedicate allo sviluppo di queste tecnologie. E il mercato dei consumatori risponde: secondo The Conversation, al 2018 circa 3.500 i cittadini svedesi avrebbero deciso di utilizzare un chip sottocutaneo. Rispetto al dato, comunque, ricordiamo che il Paese conta più di dieci milioni di abitanti: quindi, parliamo ancora di utenti “pionieri”, o “early adopters“.

In ogni caso, le perplessità relative al loro uso sono molteplici – e, soprattutto, di carattere etico. Tra i pilastri del dibattito, c’è una domanda: si tratta di strumenti sicuri? Per rispondere a questa domanda, esploriamo i diversi contesti in cui si collocano.

Tra biohaking e IoT: chip integrati nel corpo umano.

Ottimizzare il proprio corpo, ampliare le sue capacità di governare l’ambiente circostante: i chip sottocutanei fanno parte del fenomeno del biohacking, corrente che vorrebbe potenziare le capacità fisiche e cognitive degli individui hackerandoli attraverso specifiche tecniche, come l’impianto di dispositivi.

Gli ambiti applicativi dei chip sottocutanei sono molteplici.

Walletmor, fintech con sede a Londra, ha sviluppato una soluzione per attuare pagamenti contactless – basata su una tecnologia NFC. Oltre all’impiego di materiali biocompatibili, la società afferma di assicurare la crittografia della connessione e di non ricorrere a GPS o altri sistemi che potrebbero tracciare la posizione degli utenti. Tra i benefici, Walletmor ricorda l’azzeramento del rischio di smarrire o dimenticare i propri strumenti di pagamento.

Ma i chip sottocutanei sono entrati anche in azienda: Three Square Company, società del Wisconsin, nel 2017 ha avviato un programma sperimentale, rivolto ai dipendenti, per l’impianto di chip per consentire l’accesso veloce agli strumenti contenuti nel proprio wallet – dalla carta di credito a quella di identità (se sei interessato all’applicazione dell’IoT nei nuovi scenari industriali, abbiamo approfondito l’argomento in questo articolo). Sul fenomeno, la Trades Union Congress (per intenderci, la confederazione dei sindacati del Regno Unito) ha espresso preoccupazione già nel 2018 – rispetto alle potenziali criticità riguardanti il controllo dei lavoratori.

In Italia, invece, il tema è stato affrontato sul web nel 2020: secondo alcune testate, il Ministero della Salute avrebbe autorizzato l’impiego di chip sottocutanei. Nulla di vero: si trattava di una fake news.

Dispositivi sottocutanei: un incentivo alla medicina di precisione?

I dispositivi sottocutanei cominciano a farsi spazio anche in medicina: qualche anno fa, il Politecnico Federale di Losanna ha sviluppato un chip in grado di misurare la presenza di farmaci e molecole connesse al metabolismo, come il colesterolo. L’innovazione si colloca nell’alveo della cosiddetta “medicina di precisione”: un approccio che vorrebbe incentivare terapie basate sulle specifiche caratteristiche dei pazienti, perfezionando la loro efficacia.

Agli albori delle applicazioni in ambito sanitario, invece, troviamo VeriChip: la prima tecnologia RFID impiantabile approvata dalla Food and Drug Administration statunitense, nel 2004. Attraverso un codice identificativo, il chip era in grado di accedere ad una banca dati contenente la cartella clinica del paziente. Tra le critiche mosse, troviamo la sicurezza del sistema: sul punto, uno studio (Halamka et alia, 2006) ha evidenziato come la soluzione si mostrasse vulnerabile agli attacchi di spoofing. Il prodotto è stato ritirato dal mercato nel 2010, per carenza di vendite.

Tuttavia, secondo alcuni, l’impiego di chip con finalità analoghe potrebbe ottimizzare i tempi di intervento degli operatori sanitari – soprattutto nelle situazioni di emergenza.

Quindi, utilizzare un chip sottocutaneo è sicuro o no? I rischi

I chip sottocutanei implicano un elevato livello di invasività. Parliamo, infatti, di tecnologie più che indossabili: incorporate. In questa prospettiva, si pensi al pericolo di tracciamento degli utenti, nel caso di hackeraggio del sistema. Lato cyber, sarà quindi indispensabile assicurare misure di sicurezza all’avanguardia, tenendo in considerazione anche l’ecosistema interconnesso (come banche dati o device esterni).

Tuttavia, già nel 2005, il Garante Privacy si era espresso sulle tecnologie RFID: vietando, in via generale, il ricorso ai chip sottocutanei – se non in casi eccezionali.

Trattandosi di strumenti impiantabili, i rischi si estendono anche al campo medico. Per questo, tra le verifiche, sarà fondamentale accertare la biocompatibilità e la sicurezza dei materiali utilizzati, nonché fare riferimento a professionisti sanitari e studi sugli effetti di lungo periodo.

La particolare invasività di questi dispositivi solleva preoccupazioni anche rispetto alla tutela dei diritti fondamentali: si pensi alla loro applicazione in contesti in cui potrebbero prestarsi a strumento di “social rating“, sorveglianza massiva, o persecuzione dei gruppi vulnerabili.

Di chip e sensori aveva parlato anche Stefano Rodotà, uno dei più eminenti giuristi italiani, soffermandosi sulle inquietudini derivanti dall’alterazione del corpo umano – tra incisione dell’integrità fisica e arrivo del post-umano.

E lato privacy? Chip sottocutanei e protezione dei dati personali

La tutela della privacy è uno dei nodi centrali rispetto alle tecnologie incorporabili. Premesso l’imprescindibile rispetto dei diritti fondamentali della persona (tra questi, ricordiamo gli articoli 1 e 3 della CDFU – Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE), la conformità della soluzione andrà valutata caso per caso, sulla base delle caratteristiche del singolo dispositivo e dello scenario di riferimento.

Immaginiamo di esaminare una soluzione alla luce del GDPR (Regolamento UE 2016/679). Le verifiche spazieranno dal rispetto dei principi di limitazione delle finalità e minimizzazione (art. 5, par. 1, lett. b e c) alla conformità con i principi di privacy by design e by default (art. 25), fino all’analisi dell’adeguatezza delle misure di sicurezza tecniche ed organizzative predisposte (art. 32) e alle valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati (art. 35).

La mappatura del flusso di dati, fondamentale per identificare le garanzie dei soggetti coinvolti nel processo e la presenza di eventuali trasferimenti al di fuori dello Spazio Economico Europeo (SEE), dovrà estendersi anche agli ulteriori sistemi coinvolti (come il database esterno, nel caso di tecnologie RFID).

In generale, sarà necessario accertare ogni elemento riguardante l’accountability del Titolare, e tenere a mente che quest’ultimo deve essere in grado di provarla (art. 5, par. 2).

L’elenco, chiaramente, non è esaustivo: delinea solo alcuni spunti di riflessione.

Scenari ancora lontani? 

In pratica, quindi, la sicurezza (o meno) di un chip sottocutaneo dovrà essere valutata caso per caso. Ottimizzazione della quotidianità o fonte di pericolo? A definire la risposta, saranno le finalità e le garanzie offerte dalla specifica soluzione.

Secondo uno studio pubblicato su Informatics (S. Shafeie et alia, 2022), uno dei fattori determinanti per ampliare l’accettazione dei dispositivi sottocutanei tra la popolazione è proprio la trasparenza dei loro rischi e benefici.

In ogni caso, l’utilizzo di chip sembra essere un fenomeno di nicchia: per il momento, quindi, niente tornelli (a meno che non siate entrati in un Amazon Go, ma questa è un’altra storia): siete ancora alla vostra spesa del mercoledì sera, ma stavolta per pagare passate in cassa.