La creator economy è forse il fenomeno digitale più noto degli ultimi tempi. A partire già dalla prima fase della pandemia, le attività dei content creator stanno vivendo un momento d’oro e ci sono grandi aspettative per questo settore. Ma la creator economy può davvero creare nuove opportunità per migliaia di persone e contribuire significativamente all’economia del futuro.

Cos’è la creator economy?

Il termine creator economy ha avuto una diffusione enorme negli ultimi mesi. Soprattutto a partire dal 2020, con la pandemia e il distanziamento, è enormemente aumentata l’attenzione verso questo nuovo settore, anche da un punto di vista economico. La diminuzione delle attività culturali e di intrattenimento in presenza ha portato infatti un maggior consumo di contenuti online, con nuove opportunità di mercati e lavorative.

In questo scenario hanno trovato spazio i content creators, o creatori di contenuti, cioè tutte quelle persone che creano contenuti fruibili attraverso il web e i social media (video, podcast, musica, ecc.). Spesso capita che i creatori vengano identificati con gli influencer, ma l’attività degli influencer è solo una parte della creator economy, anche se ad oggi è forse quella che riceve maggiore visibilità.

La nascita e lo sviluppo della creator economy devono molto al ruolo dei social media. Ancora adesso piattaforme come Instagram, TikTok o YouTube sono i luoghi principali in cui i creatori possono farsi conoscere. Ma questo mondo si sta piano piano espandendo e negli ultimi anni sono nati nuovi aggregatori di contenuti che stanno offrendo molte opportunità interessanti.

Accanto a piattaforme che possiamo definire “generaliste” (come YouTube o Instagram) ne sono nate altre, focalizzate su specifici tipi di contenuti. Si va dai corsi disponibili su Skillshare alle piattaforme nate proprio per raccogliere fondi per i creator, come Patreon, fino al controverso – e molto noto – mondo di Onlyfans.

Queste piattaforme offrono l’opportunità, a chi la volesse e sapesse cogliere, di farsi notare da un vasto pubblico, valorizzando le proprie competenze e inclinazioni.

Quanto vale la creator economy?

Un report di NeoReach con Influencer Marketing Hub stima in 104 miliardi di dollari il valore di mercato della creator economy a livello mondiale. La tendenza però è quella di un settore in forte espansione. Lo stesso report, che è di agosto 2021, parla di investimenti per 800 milioni di dollari da parte dei fondi di venture capital solamente a partire dall’ottobre 2020.

Un altro report, di Oxford Economics, ha stimato che l’ecosistema creativo che ruota attorno alla sola Youtube contribuisca per 20 miliardi al PIL americano, creando l’equivalente di 394.000 posti di lavoro full-time.

Nonostante queste cifre, la creator economy non è il paradiso dei guadagni facili. Come sottolineano molti creator, sia in Italia che all’estero, c’è molta disuguaglianza anche all’interno di questo settore. Ci sono creator che grazie ai loro contenuti digitali sono diventati ricchi, ma la stragrande maggioranza vive una situazione molto diversa, con pochi o nessun guadagno da questa attività.

Su più 50 milioni di creators, secondo il blog SignalFire, non sono neanche tre milioni quelli che svolgono questa attività in modo professionale. Ciò significa che solo 2-3 persone su 50 riescono a farne un lavoro vero e proprio (qui il nostro approfondimento sugli aspetti fiscali della creator economy). La creator economy è un quindi tanto un panorama variegato quanto, per il momento, una nicchia minoritaria a livello lavorativo.

Passione, creatività e valore: gli ingredienti della creator economy

La creator economy viene anche definita passion economy, nel senso di economia nata da una passione, poi sviluppatasi in un lavoro vero. È questo il termine che preferisce usare Li Jin, creator e venture capitalist, fondatrice di Atelier Ventures, fondo che investe nella creator economy.

Per Li Jin la passion economy è destinata a restare e a crescere enormemente per quattro motivi fondamentali:

  • consente di accedere a una nuova forma di lavoro, che valorizza capacità che fino ad oggi erano inespresse;
  • semplifica il percorso per diventare un imprenditore, per chi vuole vivere del proprio lavoro;
  • rende più accessibili i mezzi per produrre contenuti e monetizzare la propria attività;
  • dà potere alle community che interagiscono con i creator.

La relativa facilità con cui si può diventare parte della creator economy è uno dei tratti che la caratterizza e che la accomuna a un altro fenomeno recente, la gig economy (l’economia dei lavoretti). Tuttavia, le differenze tra i rider (semplificando) e i content creator sono evidenti.

Se da un lato anche la gig economy ha consentito di inventarsi nuovi lavori grazie alle piattaforme, questi sono tendenzialmente poco qualificati e ad altissima standardizzazione. La creator economy invece esalta la creatività e il valore che il singolo individuo crea per il proprio pubblico. Questo ovviamente è a tutto vantaggio dei creator, che possono contare su una community fidelizzata e avere così anche un potere negoziale nei confronti della piattaforma che utilizzano.

Quale modello di business seguono oggi i creator?

Secondo Li Jin la storia della creator economy si può dividere in tre fasi fondamentali.

Inizialmente, con l’avvento dei social come Facebook e Twitter, i creatori di contenuti eravamo tutti noi con i nostri contenuti. Quel modello però non consentiva a nessuno di monetizzare le proprie attività online: i soli benefici economici erano quelli delle società proprietarie delle piattaforme.

Poi si è fatto strada un nuovo modello di business pubblicitario, soprattutto attraverso canali come Instagram o Youtube. Diversi influencer hanno iniziato a sfruttare la propria popolarità per fare pubblicità ad aziende interessate ad arrivare al loro pubblico. Ancora oggi questo è il modello di business più redditizio per i creator, dal momento che circa il 70% dei loro ricavi deriva infatti dalla pubblicità che fanno.

Ma si sta facendo largo un nuovo approccio, dettato dalla volontà di essere indipendenti da aziende e piattaforme. Molti creatori di contenuti sono infatti persone attente a temi sociali o che propongono un particolare stile di vita. Gran parte del loro successo si basa quindi sulla credibilità che riescono a trasmettere. Fare da sponsor a particolari aziende o prodotti è quindi un “male necessario” per sopravvivere, ma non è la condizione ideale per molti creator.

Per questo oggi, grazie a piattaforme come Patreon e al crowdfunding, i creator cercano sempre più di finanziarsi tramite il supporto del proprio pubblico.

In questo, anche secondo la stessa Li Jin, potrebbero avere un ruolo fondamentale anche gli NFT. Grazie ai token non fungibili è infatti possibile fidelizzare ulteriormente la propria base di ascoltatori e seguaci. Ad esempio si possono prevedere forme di riconoscimento (anche economico) per quei follower che hanno supportato il creator fin dalle origini.

Dalla pubblicità al business individuale: verso una classe media di creativi

Il modello di business dei creator sta cambiando. In futuro sarà probabilmente meno importante convincere un’azienda a fare da sponsor o massimizzare le visualizzazioni per generare profitti dalla propria attività creativa.

I creator hanno capito che, invece che dipendere da altri (gli sponsor o le piattaforme), possono essere loro stessi il business che genera profitti. Questa trasformazione può avvenire in vari modi: creare un podcast, scrivere un libro, organizzare corsi di formazione ecc. Tutte attività non particolarmente nuove, ma che fino a poco tempo fa erano quasi esclusivamente riservate a chi era già famoso o aveva già un certo ruolo.

Ciò che affascina della creator economy è proprio questo tipo di opportunità. Persone che hanno qualcosa da dire per un determinato pubblico possono farsi conoscere e avere un impatto potenzialmente mondiale. Il tutto senza bisogno di intermediari o di grandi investimenti iniziali. Per non parlare poi del fatto che la creator economy ben si lega ad un altro fenomeno in costante crescita, cioè il “lavoro nomade” (qui il nostro approfondimento).

Per questo c’è già chi sta parlando di una creative middle class. Nei prossimi anni il successo in ambito creativo non sarà più riservato a poche superstar di fama mondiale. Cresceranno i progetti che fino a poco fa chiamavamo “indipendenti” e quindi la varietà dei prodotti culturali, musicali e artistici che potremo trovare online.

Che cosa può dare la creator economy al mondo del lavoro?

Molti settori economici (l’editoria, la musica, il giornalismo ecc.) saranno profondamente interessati dall’attività dei creator. Alcuni player tradizionali se ne sono accorti, anche in Italia. Già adesso chi riesce a farsi notare sul web, mostrando le proprie qualità e competenze, spesso riceve attenzioni da televisioni, testate giornalistiche o case editrici.

Ovviamente stiamo ancora parlando di una nicchia nel mondo del lavoro. Ma è difficile non vedere in tutto ciò qualcosa di molto positivo e dalle enormi potenzialità.

La creator economy racchiude in sé diverse caratteristiche del lavoro del futuro. I creator sfruttano le opportunità date dall’economia digitale e si ritagliano una professione slegata dalle tradizionali logiche lavorative.

Proprio questo nuovo modo di lavorare potrebbe essere attrattivo per molte persone talentuose. Fare – come si dice – della propria passione un lavoro, con tempi e modalità decisi da se stessi, è una sfida che molti ragazzi e ragazze oggi vogliono cogliere.