Negli ultimi due anni, il lavoro a distanza è stato un fenomeno che, direttamente o indirettamente, ci ha riguardati tutti quanti. Ma in questo periodo di cambiamenti c’è stato anche chi si è spinto oltre e, invece di lavorare da casa, ha abbracciato lo stile di vita del lavoro nomade. Si tratta di un’idea ormai sempre più diffusa, che può contare su comunità e piattaforme dedicate e che permette a molti di realizzare quasi un’utopia: lavorare mentre si viaggia per il mondo.

Che cosa significa lavoro nomade?

L’idea in sé è semplice: lavorare, come dipendenti o come freelance, mentre si trascorrono periodi più o meno lunghi in diverse parti del mondo. Si tratta di una forma di lavoro totalmente a distanza, in cui l’idea di base è non legarsi a un unico luogo per lavorare, ma lavorare da dove si preferisce e senza una dimora fissa.

Non è solo un modo di lavorare, è proprio un nuovo modo di concepire il proprio progetto di vita. L’idea alla base è in un certo senso filosofica: una concezione radicale del lavoro come strumento al servizio della vita che si vuole. Chi intraprende questa strada vuole lavorare in autonomia, con flessibilità e senza limiti di luogo e di tempo.

La pandemia in questo è stata uno spartiacque. L’adesione di massa al remote working ha definitivamente legittimato il lavoro a distanza, mostrandone i molti vantaggi. Questo ha portato molti a mettere in discussione i ritmi di un lavoro in presenza e con orari arbitrariamente fissati da altri.

Chi sono i lavoratori nomadi?

I lavoratori nomadi sono prevalentemente millennial (ma non solo), nati nei paesi occidentali. Le cifre parlano di una realtà che coinvolge circa 35 milioni di persone a livello mondiale.

La crescita esponenziale del “nomadismo” è avvenuta a partire dal 2020, ma il fenomeno era nato già prima. Secondo la società MBO Partners nel 2019 già 7,3 milioni di americani erano nomadi digitali. E con la pandemia questo dato è cresciuto di quasi il 50% nel 2020 e di un ulteriore 42% nel 2021.

I principali lavori che svolgono i nomadi sono in ambito digitale: la maggior parte sono software developer, web developer, esperti di web marketing e affini. Le attività da freelance in ambito digitale sono infatti quelle più semplici da gestire a distanza e sono quelle che hanno caratterizzato fin dall’origine il lavoro nomade. Tant’è vero che spesso si parla proprio di “nomadi digitali”.

Oggi però l’adesione al movimento del lavoro nomade, anche grazie alle piattaforme online, si è ampliata ad altri settori. Tra i nomadi ci sono fondatori di startup, content creator, blogger, ma anche consulenti finanziari o persone che si occupano di formazione online.

Non è raro poi che i lavoratori nomadi siano dei dipendenti di società con sede in Nord America o in Europa. Soprattutto a partire dal 2020, con la diffusione di massa del lavoro a distanza, molti lavoratori dipendenti in settori tradizionali hanno abbracciato lo stile di vita nomade.

Come approcciarsi al lavoro nomade: community, guide e piattaforme

La diffusione del lavoro nomade ha creato negli ultimi anni siti e guide dedicate a chi vuole iniziare questo nuovo percorso lavorativo e di vita.

L’obiettivo principale è quello di riuscire a lavorare da diverse parti del mondo, procurandosi comunque un’entrata parametrata sugli standard occidentali, ma vivendo in posti con un basso costo della vita. È quello che si chiama “geoarbitraggio”, cioè lavorare in un luogo dove si viva bene con poco, mentre i propri clienti o datori di lavoro hanno la sede in Germania, in Svezia o negli Stati Uniti e quindi offrono compensi più alti.

L’idea è relativamente recente: è stata raccontata al grande pubblico nel libro “Quattro ore alla settimana” di Tim Ferris, uscito nel 2007 e per quattro anni di fila nella lista dei bestseller del New York Times. È considerato in un certo senso il manifesto dei nomadi digitali e contiene una guida pratica su come abbracciare lo stile di vita nomade. Il libro di Ferris forse è un po’ datato in alcuni consigli, ma su internet sono moltissimi i blog e le piattaforme dedicate al lavoro nomade.

Il sito Nomadlist.com ad esempio è un portale dove poter scegliere la propria città ideale in cui lavorare. Il sito dà una serie di informazioni: costo di un appartamento, temperatura, stato della connessione internet e molto altro. Si accede pagando un abbonamento annuale e si possono ottenere informazioni utili a decidere in quale posto stabilirsi.

Dal portale si possono vedere anche quali sono le mete preferite dai lavoratori nomadi. In Europa attualmente spiccano soprattutto le città spagnole e portoghesi, con clima mite, buona connessione e costi relativamente bassi. Subito dopo viene l’est Europa, con città come Varsavia, Tbilisi o Belgrado, dotate di buona connessione e con basso costo della vita. E poi le mete “storiche” del nomadismo digitale, anche se oggi sono diventate meno convenienti rispetto a qualche anno fa: Berlino e Londra.

Le piattaforme per la ricerca del lavoro nomade

L’ideale, per un aspirante lavoratore nomade, è partire avendo già una propria attività avviata e gestirla mentre si è in viaggio. Ma ovviamente si tratta di un percorso non semplice e certamente non realizzabile in poco tempo. Per questo, per chi ha fretta di partire ma vuole continuare a lavorare, ci sono numerose piattaforme online pensate per trovare il proprio lavoro nomade.

Alcune di queste sono molto note. Fiverr, per esempio, è una società nata a Tel Aviv, che gestisce un marketplace di servizi digitali. L’idea alla base è quella di mettere in contatto chi cerca un servizio con i freelance che lo possono svolgere. Si tratta di una forma di gig-economy simile ai rider o a Uber, solamente basata sul lavoro dei freelance. Non è l’unico ovviamente: altri servizi simili li offrono siti come Upwork o Freelancer.

Poi esistono le piattaforme pensate proprio per chi cerca un lavoro a distanza. FlexJobs, ad esempio, è un portale a pagamento che permette di sfogliare offerte di lavoro da remoto. Ma si utilizza anche il portale generalista Indeed oppure siti come Working Nomads, una piattaforma specifica per il lavoro nomade.

Le difficoltà e i lati negativi di lavorare viaggiando

Nonostante la sua grande diffusione, il nomadismo non è una scelta priva di difficoltà. E già sfogliando tra le piattaforme, ci si può rendere conto di quali sono i lati negativi del lavoro nomade. Molto spesso le offerte di lavoro, anche se full-remote, pongono alcuni limiti. Alcuni chiedono di lavorare solo in un determinato Paese, oppure di escluderne alcuni posti, oppure considerano solo lavoratori di determinate nazionalità.

Le aziende infatti non sempre vedono di buon occhio un collaboratore nomade. È diverso avere un dipendente che rimane all’interno dello stesso Stato dell’azienda rispetto a uno che gira il mondo. La differenza, al di là di ciò che riguarda l’organizzazione, la fanno soprattutto le questioni di natura fiscale o retributiva.

Come spiega la Harvard Business Review, le aziende farebbero bene a dotarsi di una policy per il lavoro nomade. Il lavoro in un altro Stato infatti può infatti far nascere – inavvertitamente – la presenza di una stabile organizzazione dell’azienda in quel Paese. Oppure si possono creare problemi relativi allo stipendio del lavoratore, che è regolato da norme e contratti pensati per il luogo dove ha sede l’azienda.

Ma anche per il lavoratore stesso la vita da nomade potrebbe creare qualche problema, in particolare se non definisce chiaramente la sua residenza fiscale.

Nel lavoro nomade tramite piattaforme, bisogna invece considerare le difficoltà nella gestione di clienti sconosciuti, che tendenzialmente cercano un servizio a poco prezzo. Si tratta dello stesso modello di business della gig-economy, che non sempre mantiene ciò che promette e che negli ultimi anni ha mostrato i suoi difetti.