Gli acquisti online si compiono in modo leggero e rapido con la propria carta di credito. Dietro a questa semplicità, però, si nasconde anche il rischio di scoprire addebiti non autorizzati, oppure effettuati senza che sia seguita la consegna della merce o la prestazione del servizio. A fronte di queste situazioni si colloca il chargeback (letteralmente “storno di addebito”), un procedimento semplice a favore del consumatore per ottenere il rimborso di quanto sia stato ingiustamente addebitato sulla propria carta.

Che cos’è il chargeback e come tutela il consumatore

Il chargeback è una procedura di reclamo che permette al consumatore di contestare un addebito sulla propria carta di credito e consente, sussistendone i presupposti, di stornare il pagamento ottenendone la restituzione.

In altre parole, il titolare della carta disconosce l’operazione di pagamento.

In Italia è prevista dal D.lgs. n. 11/2010, che ha recepito la Direttiva (UE) 2007/64 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.

La procedura può essere utilizzata sia nel caso di addebito ritenuto fraudolento (per esempio a causa di furto d’identità, sim swap o smishing), frutto di un errore oppure eccessivo rispetto al prezzo, sia nel caso in cui un prodotto sia stato acquistato ma non consegnato, oppure un servizio ordinato ma non erogato. Quindi, in sostanza, in conseguenza di un inadempimento contrattuale. La grande diversità di situazioni deriva dal fatto che la contestazione del titolare della carta non si rivolge verso chi ha ricevuto il pagamento (venditore del prodotto o fornitore del servizio) ma direttamente all’intermediario (banca o altro ente emittente la carta di credito), consentendo di porre nel nulla la disposizione di pagamento.

Inoltre, non si rivolge solo contro acquisti compiuti online ma anche tramite i classici sistemi POS. Naturalmente, in quest’ultimo caso, si tratterà di uso fraudolento della carta da parte di persona terza che ne sia entrata in possesso.

Il consumatore a chi rivolge il chargeback?

Per essere precisi, la contestazione del pagamento si rivolge nei confronti dell’ente emittente della carta di pagamento e non propriamente verso gli intermediari finanziari nella catena di pagamento (istituti bancari, sistemi come Paypal) né verso eventuali ulteriori soggetti che si frappongano fra l’utente finale e l’esercente (ad esempio realtà commerciali d’incontro tra consumatore ed esercenti, come Booking.com nel settore delle vacanze). Il procedimento di chargeback, però, coinvolge inevitabilmente anche questi soggetti, che stanno all’interno della catena di pagamento tra il titolare della carta e l’esercente. Pertanto, pur rivolgendosi nei confronti del solo emittente la carta, coinvolge anche l’intermediario finanziario del titolare della carta, l’intermediario finanziario dell’esercente, ed eventuali ulteriori intermediari.

Il procedimento di chargeback: semplice da fuori, complesso da dentro

Il procedimento di chargeback, quindi, è semplice e diretto solo agli occhi del consumatore che lo attiva. Presenta invece al suo interno diversi passaggi. Interviene infatti tra l’issuer (banca emittente, ovvero la banca del consumatore) e l’acquirer (banca del venditore o fornitore). Quando l’issuer riceve la richiesta di chargeback da parte del consumatore, questa viene trasmessa elettronicamente all’acquirer, che la esamina. L’acquirer chiede poi all’esercente di fornire la documentazione relativa alla transazione contestata.

La richiesta e l’esame della documentazione è apprestata a tutela dell’esercente. È infatti volta ad evitare che quest’ultimo si veda arbitrariamente stornati pagamenti riferiti a contratti di vendita o fornitura regolarmente adempiuti. Dai controlli possono infatti emergere sia comportamenti pretestuosi (o addirittura fraudolenti) da parte del consumatore – cliente finale, sia eventuali atteggiamenti di negligenza da parte delle banche interessate dall’operazione. Accade infatti che queste ultime effettuino lo storno senza verificare adeguatamente quanto è accaduto. I controlli da parte degli istituti sono quindi importanti per riequilibrare il rapporto tra chi chiede lo storno e chi lo subisce.

Chargeback, peculiare tutela del consumatore che si aggiunge agli altri rimedi

La procedura di chargeback costituisce quindi una tutela del tutto originale per semplicità e rapidità rispetto agli altri rimedi a tutela del consumatore.

Ricordiamo infatti che il consumatore ha sostanzialmente tre vie (più una) per far valere le proprie ragioni:

Infine, il consumatore trova particolare tutela nel diritto alla riparazione di elettrodomestici.

Le peculiarità del chargeback per il consumatore

I rimedi appena ricordati si rivolgono tutti più o meno direttamente contro il venditore o fornitore e sono volti a colpire il rapporto contrattuale (fatta eccezione per l’ultimo, la segnalazione all’AGCM, che sfocia nell’irrogazione di una sanzione amministrativa). Il chargeback, invece, si differenzia nettamente da questi perché si rivolge direttamente e semplicemente al pagamento. Non va quindi a colpire il rapporto contrattuale ma, più semplicemente e direttamente, la disposizione di pagamento.

Ecco perché il chargeback non è solo una tutela alternativa, per semplicità, rispetto agli altri rimedi appena ricordati, ma può essere anche una tutela aggiuntiva per il consumatore, consentendogli di vedersi riaccreditare l’importo ingiustamente addebitato, parallelamente alla presentazione di un reclamo o di un’azione in giudizio, ma senza doverne attendere l’esito. Banalizzando, il sistema chargeback visto dalla parte della banca funziona così: “intanto ti restituisco i soldi e poi se ne discuterà”.

Da tenere in conto che, nel caso di carte ricaricabili, è prevista una franchigia a carico del consumatore. Ciò significa che gli verrà riaccreditata solo la differenza tra questa e l’addebito contestato. La misura massima della franchigia è, attualmente, € 50,00. Lo prevede la Direttiva Europea PSD-2 (Payment Service Direct – 2), recepita nel nostro ordinamento con il D.lgs. n. 218/2017.

Requisiti per avvalersi del chargeback

Il reclamo, per essere esaminato prima ancora che accolto, necessita di specifici requisiti. Questi variano in base a chi sia l’ente emittente la carta e agli istituti bancari delle parti (consumatore ed esercente). Vediamo quali sono gli elementi comuni a tutte.

Innanzitutto il richiedente deve essere un consumatore. Cioè una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Inoltre, il bene o servizio dev’essere stato pagato con una carta di credito. Non invece con una carta di debito (ad esempio il bancomat).

Quanto agli elementi essenziali, il reclamo per il chargeback deve:

  • essere presentato alla propria banca e all’emittente della carta di credito “senza ritardo”;
  • essere inviato, in ogni caso, entro 13 mesi dalla data di addebito;
  • avere la sottoscrizione del titolare della carta, con indicazione del numero identificativo di quest’ultima o del rapporto di conto che lega il consumatore all’ente;
  • essere corredato di copia di un documento d’identità del consumatore;
  • contenere la dichiarazione di disconoscimento dell’operazione non autorizzata;
  • avere in allegato il dettaglio della movimentazione disconosciuta e l’estratto conto nel quale compaiono le operazioni contestabili;
  • avere in allegato la denuncia – querela alle autorità competenti dello smarrimento o del furto della carta, oppure dell’inesistenza di autorizzazione all’addebito;
  • essere inviato con un mezzo idoneo a conferirgli data certa (raccomandata o posta elettronica certificata).

Bisogna inoltre tenere conto che alcuni intermediari stabiliscono un termine entro il quale il reclamo deve essere presentato, a pena d’irricevibilità.

Il chargeback visto dal venditore o fornitore

Perché l’esercente dovrebbe subire il chargeback? Insomma, dove sta scritto che il pagamento ricevuto si possa mettere in dubbio?

Sembra infatti un procedimento sbilanciato verso le ragioni del consumatore.

Prima di tutto, un ulteriore fondamento normativo si trova nell’art. 62 del Codice del Consumo che prevede

L’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo.
L’istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore

Inoltre, il chargeback esiste in forza delle convenzioni contrattuali bancarie solitamente adottate tra l’esercente ed il suo intermediario finanziario. Le stesse, infatti, prevedono comunemente che ogni responsabilità per eventuali contestazioni o reclami provenienti dal titolare della carta, relativi alla fornitura di merci e servizi o al disconoscimento della transazione, rimangano ad esclusivo carico dell’esercente.

Quest’ultimo, in altre parole, è contrattualmente obbligato a subire lo storno dell’importo contestato.

Devono, però, sussistere tutti i requisiti sopra ricordati. Ecco perché è fondamentale la fase di controllo ed ecco perché all’esercente, dietro richiesta dell’emittente della carta, conviene prestare un vero e proprio servizio di cooperazione informativa. Dovrà infatti mettere a disposizione la documentazione di vendita (scontrini, fatture, copie della ricevuta sottoscritta da colui che abbia utilizzato la carta) atta a comprovare che l’operazione di pagamento sia avvenuta regolarmente. Le convenzioni bancarie, infatti, spesso prevedono l’accoglimento dello storno qualora l’esercente non abbia osservato gli obblighi relativi alla conservazione ed esibizione dei documenti relativi alle operazioni contestate. Prevedono inoltre che la società emittente abbia comunque diritto al rimborso, anche nell’interesse di terzi, di quanto corrisposto all’esercente, nel caso di documenti di vendita già pagati e che risultassero successivamente irregolari.

In conclusione: opportuna una corretta informazione tra intermediario finanziario ed esercente

Come visto, la procedura di chargeback può prestarsi ad abusi da parte dello stesso consumatore. Il venditore o fornitore di servizi dovrà pertanto prestare particolare attenzione alle convenzioni in essere con la propria banca, ma anche con chi fornisce il servizio di POS, oppure di pagamento mediante la rete internet. È infatti importante conoscere le condizioni di contratto applicabili in casi come questi, per essere pronti e sapere in anticipo come comportarsi a fronte di richieste di chargeback pretestuose.

Sotto questo punto di vista, il riferimento si trova nella normativa europea a tutela degli utilizzatori di servizi di pagamento, la Direttiva (UE) 2015/2366 (conosciuta come PSD-2 o Payment Service Direct 2), che prevede una serie di obblighi informativi a carico degli intermediari.