Come in tutti gli acquisti a distanza o a domicilio, anche negli acquisti online il consumatore può esercitare il diritto di recesso (o di ripensamento) e restituire i beni acquistati senza fornire alcuna motivazione al venditore.

Le imprese che intendono vendere online i propri beni e servizi ai consumatori devono essere organizzate per gestire correttamente questo diritto. Se non lo fanno, rischiano di subire pesanti sanzioni da parte dell’Autorità Antitrust.

Non sempre però c’è grande chiarezza su come funziona il diritto di recesso, specialmente nel caso di acquisti online. Vediamo di seguito quali sono i suoi elementi fondamentali.

1. Il diritto di recesso spetta per tutti gli acquisti online?

La disciplina giuridica del diritto di recesso è prevista dal Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005) agli articoli 52 e seguenti.

In particolare, la legge prevede che il diritto di recesso spetta soltanto ai consumatori, ovvero alle persone che agiscono per scopi estranei alla loro professione. Il diritto di recesso non spetta dunque per gli acquisti online fatti da società o da liberi professionisti che acquistano beni strumentali.

Il diritto di recesso si applica a tutti i contratti conclusi a distanza, compresi gli acquisti online, con esclusione di tredici eccezioni espressamente elencate all’art. 59 del Codice del consumo. Si applica anche nel caso di vendite promozionali, come ad esempio durante i saldi o nel corso del Black Friday o del Cyber Monday.

Ad esempio, il diritto di ripensamento è escluso per la vendita di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati.

Attenzione, però: non è sufficiente che il consumatore abbia “personalizzato” il proprio bene scegliendo tra varianti standard messe a disposizione dal venditore (es. colore, taglia, dimensioni). Si deve trattare infatti di beni fatti sulla base di specifiche richieste del consumatore, che difficilmente potranno essere rivenduti ad altri.

Anche nel caso di vendita di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente, come ad esempio gli alimenti freschi, non è previsto il diritto di recesso.

Non spetta neanche nel caso di vendita di giornali, periodici e riviste. Si applica però alle vendite di abbonamenti a queste pubblicazioni, per i numeri non spediti ed alle vendite di libri.

2. Il venditore deve avvertire il consumatore sul fatto che può esercitare il diritto di recesso?

Si, in base all’art. 49 del Codice del consumo, il venditore deve informare in modo chiaro e comprensibile il consumatore che ha il diritto di recesso. Le informazioni devono essere fornite prima di concludere il contratto e con la conferma di vendita.

Ad esempio, il venditore può inserirle in una pagina dedicata o tra le condizioni generali di vendita, purché il consumatore possa facilmente trovarle.

Attenzione: se il venditore non fornisce al consumatore le informazioni sul diritto di recesso (ad esempio, pubblicandole in modo chiaro sul proprio sito e indicandole nella conferma d’ordine), il termine per esercitare il recesso sale ad un anno.

3. Il Consumatore può esercitare il diritto di recesso anche se ha aperto la confezione?

Di norma si.

Ci sono però delle eccezioni, previste sempre dall’art. 59 del Codice del consumo.

Ad esempio, una delle più importanti riguarda la vendita beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute. Si deve trattare però di casi in cui l’apertura del bene rende impossibile per il venditore procedere ad una nuova sigillatura e riconfezionamento del bene.

Nel dubbio, la regola va interpretata a favore del consumatore.

Secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, ad esempio, la vendita di un materasso sigillato non rientra in questa ipotesi, perché il venditore potrebbe sempre sanificare e riconfezionare il bene restituito dal consumatore.

Il diritto di recesso è inoltre escluso nel caso di vendita di software o registrazioni audiovisive venduti sigillati ed aperti dopo la consegna.

4. Il consumatore ha diritto di recesso anche se ha usato la merce?

Si, la legge non esclude il diritto di recesso nel caso in cui il consumatore abbia usato la merce.

In questi casi, il venditore ha diritto ad ottenere dal consumatore un indennizzo per il minor valore della merce causato da ogni “manipolazione” diversa da quelle che il consumatore avrebbe potuto effettuare anche in negozio per valutare la natura, le caratteristiche e il funzionamento del bene.

Non è quindi corretto subordinare il recesso al fatto che il bene sia perfettamente integro. In questo modo, infatti, si va contro all’intenzione del legislatore, espressa nelle premesse della direttiva 2011/83/UE (considerando n. 48), sulla base della quale è stato adottato il Codice del consumo:

“Alcuni consumatori esercitano il proprio diritto di recesso dopo aver utilizzato i beni oltre quanto necessario per stabilirne la natura, le caratteristiche e il funzionamento. In tal caso il consumatore non dovrebbe perdere il diritto di recesso, ma dovrebbe essere responsabile della diminuzione del valore dei beni.”

5. Qual è il termine per l’esercizio del recesso?

Il diritto di recesso può essere esercitato entro quattordici giorni da quando la merce è consegnata al consumatore, come previsto dall’art. 52 del Codice del consumo.

Nel caso di un ordine relativo a più beni che sia stato consegnato con spedizioni diverse, il termine comincia a decorrere da quando il consumatore ha ricevuto l’ultimo pezzo.

6. In che modo il consumatore può esercitare il diritto di recesso?

La legge prevede che il consumatore possa esercitare il proprio diritto di recesso attraverso qualsiasi dichiarazione esplicita fatta al venditore, attraverso qualsiasi canale essa avvenga. Il Codice del consumo contiene un modello tipo che il consumatore può compilare per esercitare il recesso.

Non è dunque obbligatorio che il recesso avvenga per raccomandata, via PEC o con le procedure previste nel sito web del venditore.

Il venditore non può dunque rifiutarsi di considerare valide comunicazioni di recesso fatte via mail o anche solo per telefono.

Va però sottolineato che è il consumatore che deve provare di avere esercitato il recesso entro il termine previsto dalla legge. Se usa una forma non documentata (es. posta ordinaria, telefono), avrà molta difficoltà a provare l’esercizio del suo diritto.

7. Entro quanto tempo il consumatore deve restituire il bene?

Se il professionista non si è offerto di ritirare i beni, il consumatore è obbligato a spedire la merce entro 14 giorni da quando ha comunicato di voler esercitare il diritto di recesso.

Se non lo fa, il venditore potrebbe considerarlo decaduto dal proprio diritto, purché non sia troppo rigido nei confronti del consumatore (ad esempio, nel caso un piccolo ritardo).

8. Chi paga i costi per la spedizione?

In base all’art. 57 del Codice del consumo, spetta al venditore stabilire, nelle proprie condizioni di vendita, chi deve sostenere le spese di spedizione nel caso di esercizio del diritto di recesso di beni acquistati online.

Se vuole stabilire che sia il consumatore a sostenere le spese per la restituzione, deve però scriverlo espressamente nelle informazioni che fornisce al consumatore prima dell’acquisto. Nel caso in cui manchi ogni indicazione su chi deve sostenere le spese, allora sarà il venditore a doverle pagare.

Ne abbiamo parlato in dettaglio in questo articolo dedicato proprio alle spese per la restituzione in caso di recesso.

9. Entro quanto tempo il venditore deve restituire i soldi?

Il venditore deve restituire il prezzo di vendita entro quattordici giorni da quando il consumatore gli ha comunicato la propria volontà di recedere dal contratto.

Può sospendere il rimborso fino a quando ha ricevuto la merce o il consumatore gli ha fornito la prova di averla spedita.

10. Il venditore deve restituire le spese di spedizione pagate al momento dell’acquisto?

Si. Negli acquisti online, in caso di esercizio del diritto di recesso il venditore è tenuto a restituire al consumatore anche le spese di spedizione fatte pagare al momento dell’acquisto.

Se però il consumatore ha scelto una modalità di spedizione diversa da quella standard (ad esempio, ha pagato un supplemento per la consegna rapida), il venditore dovrà restituire soltanto il valore della spedizione standard.

In questo caso, la differenza di costo tra la spedizione standard e quella chiesta dal consumatore resterà a carico di quest’ultimo.

11. Cosa succede se il venditore non accetta il recesso o se non restituisce i soldi?

Se un professionista si rifiuta ingiustificatamente di accettare il recesso effettuato da un consumatore rischia una sanzione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, trattandosi di una pratica commerciale scorretta.

Il consumatore potrebbe inoltre agire giudizialmente nei confronti del venditore, per ottenere la condanna alla restituzione del prezzo.

12. Vademecum: il diritto di recesso del consumatore

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