Garantire il più adeguato livello di trasparenza possibile con il minor sacrificio per la privacy è una delle maggiori sfide per una Pubblica Amministrazione moderna e democratica.

Anche se la normativa in tema di trasparenza prevede specifici obblighi di pubblicazione di atti e informazioni in capo all’Amministrazione, va comunque operata un’attenta verifica dei dati da rendere disponibili sui siti web, attraverso un bilanciamento tra le due contrapposte esigenze della trasparenza e della tutela della riservatezza.

Il contrasto tra privacy e trasparenza è particolarmente evidente con riguardo ai dati reddituali e patrimoniali relativi ai dirigenti pubblici.

La trasparenza attraverso la pubblicazione degli atti

In Italia vige un modello di trasparenza basato sulla “accessibilità totale” ai dati e ai documenti in possesso del soggetto pubblico per “tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessi all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1, comma 1, D.Lgs. 33 del 14 marzo 2013).

La trasparenza è uno dei principi cardine dall’azione amministrativa che consente al cittadino di partecipare ai processi decisionali dell’Amministrazione pubblica e di ridurre il gap informativo da sempre esistente tra quest’ultima e il contesto in cui opera (vedi anche il nostro articolo su Algoritmi della Pubblica Amministrazione e Trasparenza).

Lo scopo perseguito dal Legislatore, attraverso la disponibilità totale dei dati, è anche quello di contrastare il fenomeno della corruzione in Italia, la cui percezione, secondo l’Indice di Percezione della Corruzione (CPI) 2021 pubblicato da Transparency International, sarebbe tra le più elevate a livello europeo.

Le Amministrazioni sono quindi chiamate a dare attuazione al principio di trasparenza attraverso la pubblicazione – nei propri siti istituzionali, nella sezione dedicata “Amministrazione trasparente” – di un complesso di dati e documenti relativi alla propria struttura organizzativa e all’attività svolta. Questo rende la trasparenza uno dei più efficaci strumenti di garanzia dell’esercizio democratico del potere pubblico.

Il limite della privacy

Nonostante gli obblighi normativi, la Pubblica Amministrazione è tenuta ad operare un’analisi dei dati e delle informazioni oggetto di pubblicazione, allo scopo di garantire il più adeguato livello di trasparenza possibile con il minor sacrificio possibile per la privacy (vedi il video del nostro workshop sull’attività amministrativa delle Pubbliche Amministrazioni e protezione dei dati personali).

Come previsto dall’art. 7-bis del D.lgs. n. 33 del 2013, la pubblicazione on line può determinare un’ampia diffusione dei dati personali. Le Amministrazioni non possono disporre filtri o altre soluzioni tecniche che impediscano ai motori di ricerca web l’indicizzazione e la rintracciabilità delle informazioni pubblicate.

Il loro riutilizzo deve, quindi, sempre avvenire nel rispetto dei principi cardine sul trattamento dei dati personali, quali, tra gli altri, proporzionalità, pertinenza, non eccedenza e finalità.

In particolare, nei casi in cui una norma di legge o di regolamento preveda la pubblicazione di atti o documenti, i dati personali ivi contenuti devono essere resi non intelligibili se non pertinenti, o, se sensibili o giudiziari, quando non siano indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione.

Secondo quanto chiarito dal Garante per la protezione dei dati personali nelle FAQ in materia di “Trasparenza online della P.A. e privacy”, prima di procedere alla pubblicazione sul proprio sito web le Pubbliche Amministrazioni devono:

– verificare se esiste una norma di legge o di regolamento che legittima la diffusione del dato personale;

– controllare, caso per caso, se sussistono i presupposti per l’oscuramento di determinate informazioni;

– rendere irreperibili da parte dei motori di ricerca i dati sensibili e giudiziari.

Come regola generale, è vietato diffondere dati personali idonei a rivelare – o informazioni da cui si possa desumere, anche indirettamente – lo stato di salute o la condizione di disagio socio-economico dei soggetti interessati.

Privacy e trasparenza dei dati relativi ai dirigenti pubblici: il dibattito sui dati reddituali e patrimoniali

Uno dei casi più controversi nell’ambito dell’annoso dibattito tra trasparenza e privacy riguarda i dati reddituali e patrimoniali dei dirigenti pubblici.

La normativa in tema di trasparenza (art. 14, D.lgs. n. 33/2013) prevede che siano resi disponibili i dati patrimoniali e reddituali (inclusi i diritti reali su beni immobili e mobili iscritti nei pubblici registri, azioni e quote di partecipazione in società) di tutti i dirigenti pubblici e delle figure ad essi equiparate, indipendentemente dal ruolo ricoperto e dai poteri esercitati.

Sull’argomento si è espressa, innanzitutto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 20 del 21.02.2019, circoscrivendo l’ambito di applicazione dell’obbligo di pubblicazione dei dati in questione ai soli dirigenti di nomina politica e dotati di ampi poteri gestori (ad es. direttori generali e dirigenti apicali delle amministrazioni statali). Per gli altri, gli obblighi di pubblicazione sono stati sospesi, in attesa di un provvedimento del Legislatore.

Secondo la Corte costituzionale, la conoscenza indiscriminata di un tale quantitativo di informazioni e dati personali di natura reddituale e patrimoniale, contenuti nei documenti da pubblicare online, non è né necessaria, né proporzionata rispetto alle finalità connesse alla trasparenza, tra cui, innanzitutto, quella di prevenzione e di contrasto alla corruzione in ambito pubblico.

Il quadro si è poi ulteriormente complicato.

Da un lato, ANAC ha tentato di estendere nuovamente l’ambito di applicazione degli obblighi di pubblicazione per i dirigenti amministrativi. Dall’altro lato, in senso contrario, la giurisprudenza amministrativa ha più volte confermato il limite applicativo della disciplina, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale (vedi Tar Lazio sentenza n. 12288 del 20.11.2020 e sentenza n. 6045 del 24.05.2021).

La deriva dell’eccessiva trasparenza

La pubblicazione massiccia di un così elevato numero di dati, relativi anche a redditi privati, resi accessibili a chiunque tramite i siti delle Pubbliche Amministrazioni, non garantisce un adeguato bilanciamento tra trasparenza e privacy dei dirigenti pubblici.

Infatti, un’indiscriminata pubblicazione di dati potrebbe portare alla violazione della riservatezza dei soggetti cui le informazioni si riferiscono, senza però niente aggiungere in termini di maggiore conoscibilità e trasparenza del sistema amministrativo da parte dei cittadini (si veda anche la recentissima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’1.8.2022, C‑184/20, OT c. Vyriausioji tarnybinės etikos komisija).

Il reperimento casuale di dati personali, che spesso serve solo a soddisfare la curiosità dell’utente, rischierebbe infatti di produrre una paradossale “opacità per confusione”. Questo in conseguenza proprio della mancata selezione, a priori, delle informazioni più idonee al perseguimento dei legittimi obiettivi di trasparenza.

Per ottenere un adeguato bilanciamento con l’esigenza di tutela della privacy, sarebbe quindi opportuna un’applicazione attenuata della trasparenza in relazione ai dati riguardanti i dirigenti pubblici che non siano titolari di poteri gestori generali.

Il vuoto normativo: che fine ha fatto la regolamentazione ad hoc?

La deriva a cui può portare un regime di trasparenza eccessivamente pervasivo può essere evitata soltanto con un intervento normativo che riordini in modo chiaro ed esplicito la materia. Andrebbero cioè individuate precisamente le figure dirigenziali apicali a cui applicare gli obblighi di pubblicazione, nonché i dati da rendere pubblici.

Il decreto Milleproroghe 2019 (art. 1, comma 7) e il successivo del 2020 (art. 1, comma 16) avevano entrambi previsto l’adozione di un Regolamento governativo, da emanarsi, a seguito di proroghe, entro il 30 aprile 2021, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Il Regolamento avrebbe dovuto prevedere in dettaglio quali dati pubblicare con riferimento a ciascun titolare di incarichi dirigenziali, in base al rilievo dell’incarico svolto.

Tuttavia l’atteso intervento del legislatore non è ancora stato realizzato, e rischia, anzi, di non vedere mai la luce, non essendo stata più prevista alcuna ulteriore proroga per la sua adozione.

Permane così un vuoto normativo, che lascia irrisolto uno dei nodi più controversi del dibattito tra trasparenza e privacy e che tutti i protagonisti della trasparenza amministrativa sono dunque chiamati a colmare secondo la propria interpretazione (vedi Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 6654 del 28.7.2022). L’auspicio è quindi quello che l’intervento del Governo non si faccia ulteriormente attendere, mettendo fine a una situazione divenuta ormai imbarazzante.

Quanto ai contenuti di questo intervento, è necessario che esso si ponga in linea con la sentenza della Corte Costituzionale, assicurando al contempo la trasparenza e la privacy in relazione ai dati reddituali dei dirigenti pubblici.

Occorre infatti evitare la pubblicazione indiscriminata di dati, riferiti a figure rispetto alle quali l’interesse pubblico è dubbio. Soprattutto, è necessario che l’intervento governativo tenga conto del grave rischio di opacità per confusione che sempre più rappresenta una costante del nostro sistema, anche al di là della tematica della pubblicazione dei dati dirigenziali.

 

Articolo redatto con la collaborazione dell’avv. Matteo Corbo, socio dello Studio internazionale Fieldfisher.