Da alcuni anni l’eCommerce è diventato terreno fertile per nuove forme di evasione fiscale. Complici anche le regole sul pagamento dell’IVA, i Paesi dell’Unione Europea sono fra gli stati più colpiti da questo fenomeno.

Si stima che il danno in Europa ammonti a circa 7 miliardi ogni anno, ma i numeri esatti non si conoscono e il trend è in crescita.

Recentemente però l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno voluto intervenire con nuove regole, per cercare di porre fine agli abusi e recuperare risorse.

Un po’ di storia del rapporto fra fisco ed eCommerce

Fin dalle sue origini l’eCommerce ha attirato le attenzioni di Stati e organismi internazionali per le sue conseguenze fiscali. Già alla fine degli anni Novanta ci si poneva il problema di come regolamentare le sempre più frequenti transazioni che avvenivano su internet.

Le posizioni erano diverse, ma i Paesi OCSE decisero che il loro criterio guida sarebbe stato la neutralità. Il commercio elettronico non andava né esentato dalle imposte né penalizzato con nuove imposizioni (all’epoca una delle proposte era la bit-tax, una lontana parente dell’odierna web-tax). Per cui bisognava semplicemente applicare le norme esistenti, adattandole un po’ al mondo di internet.

Questo è stato l’approccio alla tassazione dell’eCommerce e, più in generale, dell’economia digitale fino agli anni Dieci. È solo recentemente che gli Stati (e in particolare in Europa) hanno deciso che fosse necessario un nuovo tipo di approccio.

Quali sono oggi le regole fiscali dell’eCommerce

L’eCommerce e la sua disciplina fiscale sono rilevanti in particolare per il gettito dell’IVA. Non va trascurato però che ci sono risvolti importanti anche per quanto riguarda i dazi e le imposte sui redditi.

L’IVA è un tributo “armonizzato” a livello europeo: la sua disciplina fondamentale è decisa dall’Unione Europea, sebbene con un procedimento che richiede l’unanimità fra gli Stati membri. Il pagamento dell’IVA è quindi regolato prima di tutto da una Direttiva europea del 2006 (la Direttiva IVA).

La Direttiva IVA prevede alcune norme specifiche per le vendite a distanza tra diversi Stati membri, distinguendo fra vendite a un’impresa (B2B) e a un consumatore (B2C), che abbiamo esaminato in dettaglio in questo articolo. Per l’eCommerce, in particolare, interessano soprattutto quelle riguardanti le vendite tra imprese e consumatori (B2C).

A questo tipo di vendite si applica l’IVA del Paese di origine, cioè quello dove ha sede il venditore. Questo fino al raggiungimento di una soglia, generalmente pari a 35.000 € (ma in alcuni casi si arriva fino a 100.000 €). Se il totale delle vendite in un singolo Stato membro supera quella soglia, allora il venditore applica l’IVA del Paese di destinazione, quello dove abita l’acquirente.

I punti deboli delle regole attuali sull’eCommerce che favoriscono l’evasione fiscale

Come abbiamo visto, le norme che si applicano alle vendite online non sono state pensate per un mondo digitale. Negli anni si è cercato di adattarle, ma alcuni problemi sono rimasti. Lo sviluppo dell’evasione fiscale tramite eCommerce è anche frutto dei disincentivi e degli abusi dovuti alle regole esistenti.

Nelle vendite ai consumatori ad esempio la soglia di 35.000 € (o di 100.000 €) rappresenta uno spartiacque significativo. Se si supera la soglia, il venditore dovrà registrarsi nel Paese di destinazione e provvedere a una serie di adempimenti che possono essere gravosi.

Per questo la soglia si calcola per singolo Paese, ed è stato imposto un limite minimo a 35.000 €. È pensata per evitare di imporre oneri alle piccole imprese, ma è anche un importante incentivo a sotto-dichiarare le proprie vendite in uno Stato, per evitare ulteriori obblighi fiscali.

Un’altra debolezza dell’attuale sistema è l’esenzione dall’IVA all’importazione dei beni di basso valore. Oggi infatti l’IVA non si applica ai beni importati che valgono meno di 22 euro. La ragione di questa soglia sta nell’esentare quelle importazioni che comportavano maggiori oneri amministrativi rispetto alle entrate che avrebbero procurato. La stessa esenzione esiste anche per i dazi all’importazione, che non si pagano sui beni di valore inferiore a 150 euro.

Questa esenzione però, come vedremo, è uno dei fattori determinanti dell’evasione fiscale tramite gli eCommerce. Per anni infatti ha consentito di portare nel mercato europeo un’immensa quantità di prodotti a basso costo. Basti pensare che secondo l’OCSE i beni di basso valore rappresentano la maggior parte delle merci importate in Europa con il commercio elettronico.

L’evasione fiscale e le piattaforme marketplace

L’evasione fiscale tramite eCommerce è diventata un grosso problema con l’arrivo delle piattaforme marketplace come Amazon o eBay. La facilità di utilizzo e l’accesso libero le rendono vulnerabili a chi vuole vendere a basso costo senza pagare le imposte.

Un’inchiesta del 2018 di Wired Italia ha voluto fare luce su alcune pratiche illegali che avvengono tramite le piattaforme. Capita infatti che vi siano venditori online apparentemente impeccabili, con prezzi ottimi e recensioni validissime, che però sono evasori totali.

Spesso – ha rilevato Wired – si tratta di società cinesi che non assolvono gli obblighi fiscali. Non versano l’IVA dovuta sulle vendite e, quando viene richiesta una fattura, non la consegnano o la falsificano in modo evidente.

Wired ha anche provato a registrarsi su Amazon con dati fasulli, scoprendo che è molto più semplice di quanto si pensi. In quel caso era stata utilizzata una partita IVA già chiusa, senza apparenti segnalazioni.

Sempre nel 2018, anche il sito di news The Verge aveva pubblicato un’inchiesta simile, dove denunciava il fatto che diversi venditori cinesi si registravano su Amazon senza una partita IVA.

Oggi, in realtà, per registrarsi in Amazon Business viene chiesta una partita IVA valida in uno Stato membro dell’UE. L’account viene successivamente tenuto “in attesa” finché non è convalidata la partita IVA, anche tramite verifiche con le autorità fiscali.

Amazon Business ecommerce evasione fiscale

Gli obblighi fiscali delle piattaforme marketplace

Chi vende su Amazon deve accettare un accordo sull’utilizzo della partita IVA che attribuisce la responsabilità per gli adempimenti fiscali sulle vendite all’utente. Secondo le regole attuali, le piattaforme non sono direttamente responsabili per il versamento dell’IVA dei venditori.

L’OCSE invece da tempo chiede che le piattaforme siano responsabili del versamento dell’IVA nelle transazioni online. I venditori che evadono sono piccoli e difficili da rintracciare, specialmente se riconducibili a soggetti extra-UE. Per le autorità fiscali è invece più facile avere come soggetto da controllare la grande società che gestisce il marketplace.

Per questo, su spinta dell’UE, sono già stati introdotti alcuni primi obblighi. Dal 2019 le piattaforme marketplace hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai venditori e l’ammontare delle vendite per ogni trimestre. Se non lo fanno o non lo fanno correttamente, sono responsabili per l’IVA dovuta sulle vendite non dichiarate.

L’evasione fiscale nell’eCommerce comincia dall’importazione

Come visto, una delle cause dell’evasione fiscale nell’eCommerce si trova proprio nel momento di ingresso delle merci nell’UE, con le operazioni di importazione.

Secondo un report del 2015 di Deloitte per la Commissione Europea, le autorità fiscali degli Stati membri riportano un bassissimo livello di rispetto delle norme fiscali sull’importazione. Questo succede specialmente per i prodotti di consumo, che sono facilmente trasportabili.

Una delle pratiche più utilizzate è sotto-dichiarare il valore di un prodotto quando viene importato. In questo modo si rientra nella fascia di esenzione e non si pagano l’IVA e i dazi doganali. I controlli delle varie autorità, come vedremo più avanti, non sono ancora efficaci nell’evitare questo tipo di abusi.

Un altro metodo con cui si introducono prodotti nell’Unione senza pagare l’IVA dovuta è attraverso il cosiddetto “Regime 42”. Si tratta di un meccanismo che permette di non pagare l’IVA nello Stato dell’UE ingresso dei prodotti, ma di farlo solo nello Stato di successiva destinazione. Il problema è che alla fine l’IVA non viene versata in nessuno di questi due Stati.

L’OLAF, l’Ufficio europeo antifrode, è molto impegnato nella repressione di questa particolare modalità di evasione e su questo fronte ha ottenuto anche importanti successi negli ultimi anni.

L’eCommerce e le frodi IVA

Il commercio elettronico negli ultimi anni è stato terreno fertile anche per facilitare altre modalità – più “tradizionali” – di evasione dell’IVA.

Le frodi IVA assumono varie forme, la più famosa e diffusa è probabilmente la frode carosello. Si chiamano così perché consistono in una circolazione dello stesso prodotto in vari passaggi, per aggirare le norme sull’IVA e ricavarne profitti illeciti.

Lo schema base di una frode carosello è questo. Un’impresa di uno Stato UE vende a una società di un altro Stato, che ha il ruolo di “cartiera” o “missing trader”. In pratica questa seconda società ha solo lo scopo di produrre della falsa documentazione fiscale e simulare una vendita. Solitamente si tratta di aziende che scompaiono in poco tempo e che sono intestate a dei prestanome.

Il missing trader poi rivende il prodotto a una terza società, chiamata “interponente” o “broker”, che a sua volta lo ritorna al venditore originario, realizzando un profitto illecito.

L’evasione fiscale è possibile perché le vendite tra imprese di diversi Stati UE non sono soggette all’IVA. Il missing trader acquista senza IVA e rivende al broker, ma non versa l’IVA dovuta e sparisce. Il broker invece si detrae l’IVA sull’acquisto fatto e lo rivende alla prima impresa.

In questo modo le vendite girano (come la giostra del carosello), frodando gli Stati europei, come spiega questo video della Commissione Europea.

YouTube video

Le frodi IVA sono un problema costante con cui hanno a che fare le autorità europee e nazionali. E le forme di evasione fiscale che utilizzano società cartiere (i missing trader) possono sfociare anche nei siti di eCommerce. Un noto caso riguardante il commercio elettronico è stato quello del sito Gli Stockisti. Secondo quanto riportato dai giornali, il famoso portale riusciva a vendere a prezzi bassi proprio perché evadeva l’IVA tramite società cartiere.

Quanto è grave l’evasione fiscale tramite eCommerce

L’Unione Europea ha stimato la perdita di gettito a causa delle forme di evasione fiscale nell’eCommerce in circa 7 miliardi di euro per l’anno 2020. Questa previsione però risale al 2017, e non tiene conto della crisi pandemica in corso.

Prendendo per buono il dato dei 7 miliardi ogni anno, stiamo parlando di un numero significativo. Nell’UE il gap dell’IVA – la differenza fra il gettito effettivo e quello potenziale – è pari ad almeno 140 miliardi di euro. E se già ora l’evasione fiscale tramite eCommerce conta per il 5% del gettito IVA perso, possiamo immaginare che questo numero sia destinato ad aumentare con l’espansione del commercio online.

Ma le frodi che avvengono attraverso il commercio elettronico provocano un danno per la società che va oltre la perdita di gettito. Se infatti chi commette la frode riesce a vendere a prezzo più basso, si alterano la concorrenza e i meccanismi di mercato.

Le frodi fiscali permettono a soggetti ben organizzati di sopravvivere, realizzando profitti illeciti. Allo stesso tempo però rischiano di penalizzare o di mandare fuori mercati i loro concorrenti onesti.

Questo tema è particolarmente sentito nel Regno Unito, dove i fenomeni di evasione fiscale tramite eCommerce hanno raggiunto livelli allarmanti. Si parla addirittura di più di un miliardo di sterline all’anno.  Per sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica, alcuni piccoli commercianti britannici, hanno creato il sito vatfraud.org. Stanchi della concorrenza sleale subita, hanno deciso di segnalare account e casi sospetti e di fare pressione sulle autorità affinché intervenissero.

Le agenzie fiscali europee alle prese con l’evasione fiscale nell’eCommerce

Una delle agenzie più attive sul fronte della lotta all’evasione tramite eCommerce è proprio quella del Regno Unito. L’equivalente britannico dell’Agenzia delle entrate, la HMRC (Her Majesty’s Revenue and Customs), già nel 2018 aveva concluso un accordo di scambio di informazioni con i principali marketplace. L’accordo obbligava le piattaforme a identificare i venditori sospetti e assicurare il rispetto delle normative fiscali online. Prima della pandemia, le richieste di informazioni erano varie migliaia ogni anno.

Il Regno Unito ha deciso di affrontare la questione in modo strutturato, destinando un budget specifico a questo problema e coinvolgendo anche l’opinione pubblica. Visto da fuori, sembra un buon esempio di come combattere l’evasione tramite eCommerce, anche se le associazioni dei piccoli commercianti pensano che ancora non sia stato fatto abbastanza.

Anche la Germania è stata molto attenta nell’attuare misure di contrasto all’evasione dell’IVA, in particolare introducendo obblighi per chi vende tramite marketplace. Le leggi tedesche hanno voluto anticipare e inasprire alcune delle misure che entreranno in vigore nell’intera Unione Europea nel 2021. Per questo si sono anche creati alcuni contrasti fra la Germania e la Commissione.

Cosa ha fatto l’Unione Europea per combattere l’evasione fiscale nell’eCommerce

L’Unione Europea, che in parte è anche finanziata dall’IVA, non è rimasta inerte di fronte al fenomeno. Dal 1° luglio 2021 con la nuova Direttiva sull’eCommerce entreranno in vigore importanti modifiche per il pagamento dell’IVA nelle vendite a distanza. Questa riforma è nata proprio con lo scopo dichiarato di risolvere molti dei problemi che nascono nelle vendite online.

Infatti, a partire da luglio 2021:

  • non ci saranno più le diverse soglie per singolo Paese, ma una soglia unica di 10.000 Euro a livello europeo;
  • sarà abolita l’esenzione dall’IVA per i beni importati, che oggi è a 22 Euro;
  • per i beni importati di valore inferiore a 150 Euro l’IVA verrà pagata nello Stato del consumatore finale e non all’importazione;
  • i marketplace saranno chiamati a versare l’IVA al posto del venditore, se questo è stabilito fuori dall’UE o se il bene venduto è importato e di valore inferiore a 150 Euro.

Allo stesso tempo però l’Unione Europea ha voluto cercare di rendere più semplici gli adempimenti.

Per chi vende a distanza all’interno dell’UE ci sarà un meccanismo chiamato “One Stop Shop(OSS), che aiuterà le imprese a pagare l’IVA dovuta negli altri Stati tramite un portale online. Invece chi vende beni importati di valore inferiore a 150 Euro potrà utilizzare il portale “Import One Stop Shop (IOSS).

IOSS e OSS sono l’evoluzione del portale MOSS (Mini One Stop Shop), una prima sperimentazione già avviata nel 2015 dall’UE per la vendita di servizi completamente digitalizzati (ne abbiamo parlato in dettaglio in questo articolo).

Le nuove regole sull’eCommerce saranno efficaci?

Le proposte contenute nella nuova Direttiva mirano a risolvere i vari problemi normativi che oggi consentono l’evasione fiscale tramite l’eCommerce.

Una delle novità più apprezzate è senza dubbio l’introduzione di una responsabilità fiscale delle piattaforme marketplace. L’OCSE in particolare sostiene da tempo la necessità di questa modifica, anche con buoni argomenti. Se si responsabilizzano le società di marketplace, queste saranno incentivate a controllare i pagamenti che avvengono nelle loro piattaforme.

In molti sperano che questa novità sarà un ostacolo a chi vorrà fare il furbo.

Per quanto riguarda invece l’abolizione della soglia di esenzione, la questione è più complicata. Prima di tutto gli Stati dovranno comunque migliorare i propri controlli, perché i rischi di una sotto-valutazione delle merci importate non scompaiono.

Alcuni poi sostengono che l’abolizione della soglia di esenzione per IVA e dazi sia più deleteria che altro. L’istituto privato di ricerca Copenhagen Economics ha pubblicato uno studio (finanziato dall’associazione europea degli operatori postali) secondo cui la modifica introdotta farà aumentare i costi per i consumatori senza portare significativi benefici in termini di gettito.

In effetti nel Regno Unito, dove le nuove regole sono già in vigore dal 1° gennaio, sono aumentati i prezzi dei prodotti importati dalla Cina e rivenduti su eBay e Amazon. Un effetto che secondo alcuni dimostra l’efficacia nuove misure anti-evasione, mentre per altri è solamente dovuto ai nuovi oneri per chi importa.

Sarà quindi importante monitorare come evolverà la situazione a partire dal prossimo luglio.

Sui controlli e la cooperazione amministrativa c’è ancora molto da fare

Ora che entreranno in vigore le modifiche alla Direttiva IVA, sarà sull’efficacia dei controlli che si giocherà la sfida agli evasori online.

A fine 2019 la Corte dei conti dell’Unione Europea, l’organo che si occupa di vigilare sulle finanze dell’UE, ha pubblicato un report sul fenomeno dell’evasione tramite eCommerce. L’indagine serviva per inquadrare il fenomeno e le sue cause e capire che cosa stanno facendo le autorità nazionali ed europee per combatterlo.

Il report si intitola eloquentemente “molti problemi non sono ancora stati risolti”. E infatti la Corte dei Conti europea, anche se valuta positivamente il pacchetto di regole anti evasione fiscale nell’eCommerce, dà un giudizio sostanzialmente negativo all’attività degli Stati e dell’Unione Europea.

Le difficoltà, insomma, ora non riguardano tanto le norme, ma la scarsa efficacia delle amministrazioni nazionali ed europee.

Il report dice chiaramente che i controlli svolti dalle autorità nazionali sono deboli. Facendo dei test a campione, la Corte ha trovato molte irregolarità non rilevate dalle autorità nazionali, in particolare nelle procedure di importazione.

La sperimentazione cominciata con il portale MOSS è invece considerata positiva. Però anche in questo caso le verifiche delle autorità nazionali andrebbero aumentate, anche attraverso scambi di informazioni fra Stati. Secondo la Corte gli strumenti di cooperazione amministrativa all’interno dell’Unione sono poco utilizzati (come si vede dalla tabella).

ecommerce evasine fiscale

Oltre a ciò, le attività di riscossione delle autorità nazionali hanno diverse fragilità. Capita ad esempio che uno Stato non invii a un operatore estero i solleciti per i pagamenti dovuti. Altre volte i sistemi sono poco efficienti e non consentono verifiche automatiche tra le dichiarazioni e gli effettivi pagamenti.

Questo provoca perdite di entrate, per un ammontare che gli Stati non sono ancora in grado di stimare con precisione.

In tutto questo il ruolo della Commissione Europea dovrebbe essere quello di coordinare, assistere e monitorare le amministrazioni nazionali. La Corte dei Conti europea però non pensa che la Commissione abbia svolto questo compito in modo sufficiente.

Combattere l’evasione fiscale online con la tecnologia

Nel suo report la Corte dei conti dell’UE sottolinea l’importanza che possono avere le procedure di verifica automatica e chiede di esplorare nuove modalità di riscossione, anche tramite monete virtuali.

È indubbio che l’evasione tramite eCommerce metta in difficoltà gli Stati, perché va oltre i confini ed è difficile da controllare. Ma forse la risposta ai problemi nati dalla tecnologia si trova proprio nella tecnologia stessa.

L’Unione Europea sembra aver intrapreso questa strada.

I portali OSS e IOSS, se ben sfruttati, saranno un aiuto importante per gli Stati nella lotta all’evasione fiscale nell’eCommerce. E proprio di recente è anche stato istituito il sistema CESOP (Central Electronic System of Payment information). Entrerà in funzione a partire dal 2024 e sarà un database centralizzato, che conterrà le informazioni sui pagamenti transfrontalieri a livello europeo.

La sfida agli evasori online lanciata dall’Unione Europea si basa quindi su una scommessa non scontata. Saper utilizzare la tecnologia, per evitare di esserne vittima.