La tassazione è una variabile sempre più considerata da chi investe in criptovalute. Con la diffusione degli investimenti nel mercato delle cripto-attività, sta aumentando anche l’interesse per il trattamento fiscale da dare ai diversi asset, come le criptovalute e i token.

Dal momento che le criptovalute non sono facili da inquadrare nelle categorie fiscali esistenti, si tratta di una questione che sta coinvolgendo sia le autorità fiscali che vari esperti di tassazione.

AGGIORNAMENTO: la legge di bilancio per il 2023 ha introdotto importanti novità riguardanti le criptovalute e la loro tassazione, a cui abbiamo dedicato un articolo apposito. Per la prima volta è stato stabilito a livello legislativo il trattamento fiscale delle operazioni che hanno ad oggetto criptovalute e altre cripto-attività.

La natura delle criptovalute e la loro fiscalità

Fin dalla loro prima diffusione, le criptovalute hanno rappresentato una sfida per la fiscalità degli Stati. Per questo gli Stati hanno sentito l’esigenza di dare risposte al fenomeno, ma spesso lo hanno fatto in modo poco coordinato e coerente.

La confusione nasce dal fatto che non si possono inquadrare facilmente le criptovalute in una delle categorie oggi esistenti in ambito fiscale. Le criptovalute infatti possono essere considerate come un mezzo di pagamento, utilizzabile per acquistare beni o servizi con una valuta “alternativa”. Ma sono anche un asset finanziario, molto diffuso specialmente tra chi vuole speculare sulle fluttuazioni del loro valore. Per altri ancora invece rappresenterebbero delle commodity: delle nuove materie prime digitali, con enormi potenzialità nello sviluppo del web 3.0.

Questa natura variegata e unica delle criptovalute rende molto difficile individuare il loro corretto trattamento fiscale.

In tutto questo non va trascurato che la regolamentazione fiscale rimane di competenza del singolo Stato. Le criptovalute quindi possono facilmente essere qualificate in un modo in uno Stato e in un altro modo in un altro Stato. E a volte è proprio lo stesso Stato che, in due ambiti legislativi diversi, definisce le criptovalute in modo diverso (questo è anche il caso dell’Italia).

La tassazione delle criptovalute in Italia: cosa dice l’Agenzia delle Entrate

In Italia la normativa fiscale non definisce né disciplina in modo specifico le criptovalute. Questo però non vuol dire che le criptovalute siano esenti da tassazione, perché possono rientrare in alcune delle categorie previste dalle norme fiscali.

Il punto di partenza per l’Italia è stata una sentenza del 2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha definito le criptovalute come “valute”. Nel caso affrontato era necessario stabilire se alle operazioni di cambio di una criptovaluta con una moneta tradizionale si potesse applicare l’esenzione dall’IVA relativa alle operazioni sulle valute. La Corte di Giustizia ha risposto di sì, qualificando così le criptovalute come delle “valute”.

La sentenza della Corte di Giustizia del 2015, nonostante riguardasse solamente una norma sull’IVA, ha avuto importanti conseguenze a livello europeo. L’Agenzia delle Entrate italiana in particolare ha deciso di seguire l’orientamento della Corte di Giustizia nelle sue risposte ufficiali anche per imposte diverse dall’IVA.

Dal momento che non esistono norme specifiche per le criptovalute, a oggi gli unici provvedimenti italiani riguardanti la tassazione delle criptovalute sono le circolari e le risposte dell’Agenzia delle Entrate alle richieste dei contribuenti. E nei suoi atti l’Agenzia delle Entrate, prendendo spunto dalla sentenza della Corte dell’UE, ha deciso di equiparare le criptovalute alle “valute estere”.

Le critiche all’orientamento dell’Agenzia delle Entrate

La posizione dell’Agenzia delle Entrate è stata più volte criticata e discussa da molti. Come abbiamo visto, considerare le criptovalute solo come delle valute è riduttivo, perché trascura tutti gli altri utilizzi, diversi dal pagamento, che spesso sono alla base di un’operazione fiscalmente rilevante.

L’equiparazione alle “valute estere” è anche poco coerente con l’orientamento del Comitato interpretativo degli IFRS (i principi contabili internazionali), che invece inserisce le criptovalute tra gli asset immateriali dell’impresa o tra i beni da vendere. Dato che la tassazione delle imprese parte sempre dalla contabilità, l’incoerenza fra la posizione dell’Agenzia delle Entrate e i principi contabili può essere problematica.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate è poi in parte contrastante con due definizioni che la legge dà di “valute virtuali”. Si tratta di definizioni contenute nella normativa antiriciclaggio e in quella contro le frodi nei pagamenti e che sono valide solo all’interno di questi settori. Il Decreto legislativo 231/2007 (che riguarda le regole antiriciclaggio) definisce ad esempio la valuta virtuale come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Questa definizione, al contrario dell’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, valorizza la duplice natura delle criptovalute, appunto come mezzo di scambio e strumento di investimento.

Chi opera con le criptovalute si trova quindi in una situazione di grande incertezza. In un ambito le dovrà considerare valute estere, in un altro invece come degli strumenti di investimento.

Casi specifici di tassazione degli investimenti in criptovalute

Gli unici provvedimenti ufficiali che affrontano il tema della tassazione delle criptovalute sono le circolari e le risposte dell’Agenzia delle Entrate. Queste ultime in particolare sono delle risposte a casi concreti, che i contribuenti hanno sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate utilizzando la procedura di interpello (prevista dal cd. Statuto dei diritti del contribuente, la Legge 212/2000). Sono risposte che non hanno valore di legge, ma servono a chiarire qual è l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate su certo un tema.

A oggi, con le risposte alle domande di interpello, l’Agenzia delle Entrate ha preso posizione su alcuni importanti aspetti fiscali degli investimenti in criptovalute.

La tassazione delle cessioni di criptovalute

Il primo intervento, che risale al 2016 (l’interpello 72/E/2016), ha riguardato il trattamento fiscale della vendita e dell’acquisto di criptovalute. È proprio in questa occasione che l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a equiparare le criptovalute alle valute estere, applicandone anche la normativa specifica.

In questa occasione è stato chiarito che gli acquisti e le vendite di criptovalute sono esenti ai fini dell’IVA, perché sono operazioni su valute (come aveva già chiarito la Corte di Giustizia dell’UE).

Inoltre, per i privati che comprano e acquistano criptovalute, si tratta generalmente di operazioni fiscalmente irrilevanti secondo l’Agenzia delle Entrate. Diventano però operazioni tassabili se:

  • si tratta di cessioni a termine, cioè di quelle vendite di valute che avvengono in futuro a presso fissato in anticipo (in modo da speculare sugli andamenti del valore);
  • si prelevano criptovalute da un deposito (come i wallet), la cui giacenza è superiore a € 51.645,69 per almeno sette giorni continui.

Per le società invece vanno seguite le norme riguardanti i redditi d’impresa. L’unico caso affrontato finora riguarda le società che fanno da intermediari nello scambio di criptovalute: queste dovranno comprendere nel loro reddito anche le commissioni pagate dai clienti.

Per quanto riguarda invece le società che semplicemente possiedono delle criptovalute, seguendo i principi generali dei redditi d’impresa, bisogna partire da come sono iscritte nel bilancio. In questo caso il dibattito è ancora aperto, perché ancora non è chiaro come iscrivere correttamente le criptovalute nei bilanci delle società.

La tassazione delle operazioni di staking

L’ultimo chiarimento dell’Agenzia delle Entrate risale ad agosto 2022 (l’interpello n. 437 del 2022) e riguarda la tassazione dell’attività di staking.

Lo staking è l’attività con cui alcune blockchain (come Ethereum) convalidano le transazioni che avvengono sulla rete. In altre parole, è un meccanismo di prova (infatti è detto anche proof-of-stake) con cui si “mettono a disposizione” le proprie criptovalute per registrare i nuovi avvenimenti sulla blockchain. Proprio per incentivare questo meccanismo di prova, essenziale per il funzionamento della blockchain, viene data una ricompensa, che consiste in altre criptovalute.

Da un punto di vista fiscale, questa ricompensa rappresenta un “reddito da capitale”: cioè un guadagno derivato dall’aver utilizzato un capitale (le criptovalute).

Gli adempimenti fiscali per chi possiede criptovalute

Una delle più importanti conseguenze fiscali dell’equiparazione delle criptovalute alle valute estere riguarda i cosiddetti “obblighi di monitoraggio”. Si tratta di obblighi che servono a tracciare le ricchezze possedute all’estero, che vanno dichiarate ogni anno all’Agenzia delle Entrate.

Questa dichiarazione si fa con la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi. Chi ha delle criptovalute dovrà quindi compilare anche questa sezione della dichiarazione dei redditi, con le informazioni riguardanti il proprio investimento in criptovalute.