Smart working e telelavoro sono accomunati da molti aspetti, ma tra essi la differenza c’è. La grande diffusione di forme di lavoro da remoto a causa della pandemia, e la loro affermazione anche in settori che prima non le avevano sperimentate, rende necessario distinguerne gli aspetti caratterizzanti. Infatti i due istituti vengono sempre descritti come simili, a volte addirittura coincidenti.

Cerchiamo di chiarire che cosa li connota e perché è bene evitare sovrapposizioni.

Smart working e telelavoro sono tipologie contrattuali o modalità lavorative?

Sembra banale precisarlo, ma quando parliamo di smart working e di telelavoro non siamo davanti a nuove tipologie di contratto di lavoro. Infatti entrambe sono modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Esse “superano” la collocazione fisica del lavoro e del lavoratore nella sede aziendale.

Utilizzando un’espressione diffusa ed efficace, possiamo dire che entrambi sono strumenti di “flessibilità organizzativa”, perché consentono di modernizzare la gestione del lavoro e di conciliare lavoro e vita privata, grazie all’uso di strumenti informatici e telematici.

Un po’ di storia…

Il primo ad affacciarsi è stato il telelavoro: venne introdotto negli USA negli anni Settanta, per i lavoratori delle aziende informatiche. Il senso fu proprio quello di consentire ai lavoratori di sperimentare una modalità lavorativa “nuova”, perché consentiva di collegarsi da fuori dei locali aziendali.

Pian piano si è diffuso anche in Europa, e in Italia, ove infatti è stato introdotto per legge alla fine degli anni Novanta. Prima per il settore del lavoro pubblico, con il D.P.R. n. 70 del 1999 e l’Accordo Quadro del 23 marzo 2000. Più tardi lo si è previsto anche per il settore privato, ma attenzione: per il lavoro privato manca ancora oggi una disciplina di legge. La regolamentazione è infatti frutto della contrattazione collettiva: dopo l’Accordo Quadro Europeo del luglio 2002 è stato firmato l’Accordo Interconfederale 9 giugno 2004, che è il riferimento principale per la disciplina del telelavoro, ma che lascia molto spazio ad accordi e contratti collettivi di settore e individuali.

Viceversa il lavoro agile (o smart working) si è affacciato successivamente, soprattutto nei Paesi del Nordamerica e dell’Europa settentrionale. In Italia è arrivato molto di recente, con la L. 81 del 22 maggio 2017 (in particolare articoli da 18 a 24).

“Perché” e “come” si è arrivati allo smart working

L’evoluzione delle tecnologie

L’uso a scopi lavorativi di strumenti informatici e telematici ha anzitutto consentito di evitare gli spostamenti. È questa una delle ragioni che ha portato, diversi anni fa, a pensare a modalità di lavoro alternative e più flessibili. Di pari passo con l’evoluzione dei costumi e delle abitudini c’è stata poi l’evoluzione delle tecnologie, e quindi anche le forme di lavoro si sono adattate.

Come sappiamo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono un vettore essenziale per l’innovazione. La disponibilità di informazioni è ormai vastissima, e vi si può accedere in ogni tempo e in ogni luogo.

Una nuova mentalità

L’attività lavorativa è divenuta sempre più fluida, sono cambiati ruoli organizzativi, responsabilità, mansioni.

Se a questa “evoluzione” strettamente applicata ai temi del lavoro aggiungiamo la sempre maggiore attenzione ai temi legati alla sostenibilità, comprendiamo perché si è arrivati allo smart working (che alcuni hanno, un po’ semplicisticamente, definito “telelavoro evoluto”).

Ragioni ambientali, di benessere, di produttività, e non ultimo, come tutti abbiamo visto nel 2020, di tipo sanitario e sociale, hanno portato ad applicare strumenti che la legislazione in qualche misura già conosceva, ma che andavano diffusi e implementati.

Il tempo e le sue sfide per un lavoro sempre più efficiente

Aggiungiamo che una delle sfide più difficili per praticamente tutte le posizioni è la gestione del tempo.

Il problema è davvero molto avvertito, ed infatti i corsi di formazione sul tema sono migliaia (la ricerca delle parole “time management” su Linkedin Learning porta oggi ad accedere ad oltre 4000 risultati, di cui oltre 500 corsi ed oltre 3.000 video).

Aggiungiamo che una quantità eccessiva di tempo trascorsa in ufficio è avvertita come sinonimo di inefficienza. E comprendiamo il senso dello smart working: la diversa gestione del tempo permette di abbattere queste inefficienze, con soddisfazione di lavoratori e imprese.

Con il termine inglese “smart” ci si riferisce all’obiettivo: migliorare la produttività del lavoratore grazie alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Smart working sempre più applicato

Il telelavoro non si è diffuso molto, forse anche per l’incertezza derivante dall’assenza di una cornice “legale” propriamente detta. È anche per questo che il legislatore, introducendo e promuovendo l’istituto del lavoro agile nel 2017, ha inteso concretizzare un vero e proprio “salto generazionale”.

E il fatto che l’Italia si sia dotata per tempo di una legge sullo smart working è stato lungimirante, perché ci ha permesso di passare “improvvisamente” allo smart working in un quadro di relativa certezza. Chiaramente, la legge n. 81 del 2017 era stata concepita in un periodo in cui il lavoro agile rappresentava un fenomeno “di nicchia”.

Sia lo smart working che il telelavoro originano da un accordo tra datore e lavoratore

L’accordo tra le parti è un presupposto fondamentale per entrambi gli istituti. Può essere fatto inizialmente (dunque nella descrizione delle prestazioni del lavoratore e del luogo ove svolgerle) oppure essere contenuto in un impegno successivo.

In ogni caso, il datore di lavoro non li può unilateralmente imporre: trattandosi di modificare il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, occorre il consenso di entrambe le parti.

Con riguardo al telelavoro, poi, all’art. 2 dell’Accordo del 2004 è previsto che se a fronte di una proposta di telelavoro il lavoratore si rifiuta, ciò non può essere “di per sé motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, né di modifica delle condizioni del rapporto di lavoro”. E, all’art. 10, che il telelavoratore gode degli stessi diritti collettivi, dunque sindacali, dei lavoratori impiegati presso la sede. Il telelavoratore è dunque inserito nell’organizzazione al pari del lavoratore con le sue stesse mansioni che opera nei locali aziendali. La sua prestazione deve essere equivalente (in termini di quantità, qualità e tipologia) a quella dei lavoratori che, con le sue stesse mansioni, lavorino nei locali dell’azienda.

Forme di lavoro cui applicare smart working e telelavoro

Entrambi gli istituti si applicano alle principali forme di lavoro.

In questo senso, l’accordo di smart working può essere stipulato solo nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato (perché questi sono i rapporti in cui luoghi e orari di lavoro sono vincolati). Tutti i datori di lavoro possono sottoscrivere accordi di lavoro agile con i dipendenti, e tutti i lavoratori subordinati (compatibilmente con le mansioni assegnate) possono essere parte di accordi di lavoro agile.

Lo smart working è compatibile con i contratti a termine, part-time, a tempo indeterminato e di apprendistato (purché, chiaramente, sia garantita l’attività di formazione).

Anche il telelavoro, come chiarito dal Ministero del Lavoro nel 2008, è compatibile con contratti (subordinati) a termine e part-time.

Tipologie di telelavoro

Ci sono diverse tipologie di telelavoro.

La principale è il c.d. “telelavoro stanziale” (la classica tipologia di telelavoro).

C’è poi il c.d. working out (o “ufficio mobile”), che è l’unica forma di telelavoro non stanziale, perché il telelavoratore può muoversi senza dover stare in una postazione fissa. Il telelavoratore esegue la prestazione lavorativa con molta autonomia, quindi è una forma di telelavoro che sta quasi fuori dai “rigidi schemi gerarchici” della subordinazione. È disciplinato anche dal CCNL per i dipendenti del settore delle telecomunicazioni, in particolare all’art. 22.

Nel lavoro remotizzato il telelavoratore svolge l’attività in locali aziendali ma distanti dalla sede aziendale. Sono una sorta di “uffici satellite” dove operano più telelavoratori, adibiti a mansioni compatibili con una presenza a distanza (ad esempio, nella sede centrale si trova la produzione, e in telelavoro sono svolte le mansioni direttive). Proprio per il fatto che è svolto in locali aziendali, è la forma di telelavoro che pone meno questioni giuridiche.

Infine, esistono i c.d. centri di lavoro comunitario: strutture che appartengono a terzi (dunque non all’azienda) dove operano telelavoratori di imprese diverse, che usufruiscono di postazioni create appositamente.

In ogni caso, se è svolto presso il domicilio, quest’ultimo non va considerato una sede o dipendenza aziendale (a meno che ivi non vi siano beni aziendali necessari all’esecuzione della prestazione: ad esempio, per un piazzista il fatto di conservare la modulistica).

Più da vicino: qual è la differenza tra smart working e telelavoro?

smart working telelavoro differenza

La differenza principale sta nel luogo di lavoro

Il lavoro agile è svolto solo in parte fuori dai locali aziendali: come molti sanno, la settimana lavorativa dello smart worker è caratterizzata da un’alternanza tra periodi in azienda e periodi in modalità “smart”. Ed è proprio questo che lo caratterizza e ne fa capire il senso: la flessibilità. Il lavoratore agile non è vincolato ad un preciso luogo di lavoro.

Viceversa, il telelavoratore opera sempre al di fuori dei locali aziendali o del datore di lavoro, in una postazione fissa. È comunque possibile convocarlo presso la sede aziendale per esigenze di natura organizzativa o produttiva (ad es. un per meeting).

Diversità di disciplina

Come detto il telelavoro ha una disciplina completa e consolidata, a differenza dello smart working che ha una disciplina meno estesa (ad esempio non ha una disciplina dedicata in tema di salute e sicurezza).

Tempi e orari

Il telelavoro è caratterizzato da maggiore rigidità, sul piano spaziale e sul piano temporale. Gli orari sono più rigidi e, di norma, rispecchiano quelli stabiliti per il personale che svolge le stesse mansioni all’interno dell’azienda. Il telelavoratore si è reso disponibile a lavorare in una certa fascia oraria, indicata in contratto: ciò proprio per coordinare le comunicazioni telefoniche, via e-mail o in videoconferenza con i colleghi.

A differenza del telelavoro, lo smart working consente maggiore flessibilità. Infatti l’accordo di lavoro agile può prevedere clausole alternative: lavorare in qualunque orario (purché la sua attività sia produttiva ed efficace), oppure in correlazione temporale con l’orario normale applicabile alla struttura di appartenenza.

Ma la principale differenza circa il “tempo di lavoro” è questa: che in ogni caso lo smart worker deve rispettare i limiti massimi di orario giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dai contratti collettivi.

Non così nel telelavoro: infatti non si applicano le regole in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale. Insomma, come ha chiarito l’INPS nel 2003, il telelavoro subisce molte deroghe alle comuni regole sull’orario di lavoro. Perché per le stesse caratteristiche dell’attività lavorativa l’orario di lavoro non è misurato o predeterminato, e può anzi essere deciso dai lavoratori stessi.

In breve, si potrebbe dire che il telelavoro è sì più rigido, ma meno regolato. Mentre lo smart working consente maggiore agilità, ma nel solco delle regole stabilite circa l’orario di lavoro.

Uso di tecnologie diverse

C’è anche chi li distingue per il tipo di tecnologie utilizzate, sebbene sembri una forzatura ed una cosa ovvia (come detto, lo smart working è giunto successivamente, e dunque è stato pensato per esigenze e scopi più evoluti). Lo smart worker utilizza tecnologie più avanzate, diversamente dal telelavoratore (che nella concezione iniziale si avvaleva semplicemente di…PC, telefono fisso, fax).

Sicuramente tra le due forme c’è una continuità, solo che nel lavoro agile la “disarticolazione” è più accentuata, proprio a causa dell’impatto delle tecnologie digitali.

Con le conseguenze del caso: nello smart working una componente non secondaria dell’attività è svolta con strumenti che il telelavoro non conosceva (su tutti lo smartphone). Dunque istituti come il diritto alla disconnessione hanno trovato una regolamentazione proprio con riguardo al solo smart working, perché più recente e molto più applicato.

Coordinamento e direttive del datore lavoro

Infine, tra telelavoro e smart working c’è una differenza sostanziale per quanto riguarda le regole sul coordinamento e sul potere del datore di lavoro.

Il telelavoratore è sottoposto ad un coordinamento “informatico” e “telematico” dell’attività lavorativa. Nel senso che, essendo la comunicazione con la sede di lavoro pressoché soltanto a distanza, anche la supervisione datoriale avviene in questo modo.

Non così nel caso dello smart working, che prevede una lontananza solo “temporanea” dalla sede datoriale.

Possibili scenari

Il tema del coordinamento “telematico” a distanza pone, come intuibile, dei riflessi delicati e dei quesiti di non poco momento. Pensiamo ad esempio al tema di come conciliare lo smart work con la privacy ed i controlli a distanza.

E, se è vero che lo smart working diventerà una modalità normale di lavoro, comprendiamo l’importanza di definire determinate responsabilità, dalla cybersecurity alla data protection, e la necessità di una vera e propria guida alle possibili implicazioni.

In ogni caso, a differenza dello smart working, che è più recente e sempre più diffuso, il telelavoro è un istituto ancora peculiare.