L’evoluzione tecnologica ha imposto la necessità di riflettere, nuovamente, sul rapporto che intercorre tra uomo e tecnica. Le sfide che ci si trova a dover fronteggiare sono di tale importanza da arrivare a trattare di tecno-etica. Questa nuova branca della bioetica possiede il difficile compito di cercare di trovare una risposta equilibrata a differenti quesiti i quali, a loro volta, sono in tensione tra due poli opposti. Precisamente, alle cd. tecno-paure si contrappongono alle cd. tecno-speranze.

Le prime sono alimentate da un sentimento di paura rispetto alla incessante evoluzione della tecnica. La tecnologia viene interpretata come se fosse un rischio: il timore è che, in un futuro più o meno prossimo, il mondo sarà popolato da esseri sintetici e non umani.

Al contrario, le tecno-speranze interpretano le continue ed incessanti evoluzioni tecnologiche come opportunità per il genere umano. In questa direzione la tecnologia diviene un’opportunità, oltre a essere sorretta dal dovere di evoluzione.

Un approccio di sintesi tra questi due poli potenzialmente opposti ritiene che l’atteggiamento corretto sia quello di guardare all’evoluzione della tecnica attraverso “una lente umana”. In questa direzione, l’imperativo tecnologico deve essere rapportato con la necessità di garantire il primato dell’essere umano. In altri termini, il mondo dell’algoritmo, dell’intelligenza artificiale e della machine learning deve possedere sempre, quale riferimento, l’essere umano. A tal proposito si è trattato di “human full control” per indicare la necessità che sia l’essere umano rispetto agli Autonomous Systems.

Il rapporto umano-sintetico

In questo contesto di dialogo umano-sintetico, o umano-algoritmico, è di nevralgica importanza il canale comunicativo che deve sussistere tra questi due mondi contrapposti.

È possibile ritenere che, al fine di comprendere l’essenza stessa che governa il mondo dell’Intelligenza Artificiale, sia necessario fare un uso metaforico di quella che è l’esperienza umana. In altri termini, posto che umano ed artificiale possiedono logiche di funzionamento proprie, non è possibile adattare categorie, concetti umani a un mondo fondato sul sistema binario.

A titolo esemplificativo è possibile evidenziare alcune differenze che intercorrono tra queste due rette apparentemente parallele ma destinate a divenire incidentali. In tal senso è possibile sostenere che:

  1. l’algoritmo non decide ma effettua delle correlazioni;
  2. i sensori appartenenti al mondo sintetico non percepiscono, non sentono ma captano le informazioni e ricevono segnali;
  3. un hard disk non possiede la capacità di ricordare e nemmeno di eliminare ma, rispettivamente, archivia dati e de-indicizza le informazioni;
  4. infine i sistemi di IA non decidono ma comunicano gli esiti di quanto elaborato.

Le nuove sfide per il diritto del lavoro

Posto che uno dei luoghi in cui, attualmente, sono maggiormente impiegate le innovazioni tecnologiche sono i luoghi di lavoro, la riflessione giuslavoristica si trova a dover fronteggiare nuove sfide.

Il riferimento va all’Industry 4.0 che caratterizza quella che è stata definita la Quarta Rivoluzione Industriale, la quale, a sua volta, non si esaurisce nella gig-economy ma abbraccia anche le criticità che derivano dalla effettiva sostituzione di esseri umani da parte di esseri sintetici.

In relazione a questo nuovo scenario, che potrebbe essere definito misto (formato sia da esseri umani che esseri artificiali) lo stesso diritto del lavoro deve rapportarsi con nuove criticità.

A titolo esemplificativo è possibile alludere alla definizione di nuove patologie, come il tecno-stress. Esso alluderebbe ad a “ogni conseguenza negativa che abbia effetto su attitudini, pensieri, comportamenti o psiche, causata direttamente o indirettamente dalla tecnologia”. L’aspetto peculiare è se il tecno-stress sia riferibile solamente agli esseri umani, o se, partendo dal presupposto che in letteratura si tratta di diritto dei robot, questa patologia possa essere riferita anche ad esseri sintetici.

In altri termini, se si qualificano i robot come esseri senzienti che devono essere destinatari di tutela, qual è l’approccio che il professionista – nel caso di specie, il consulente del lavoro – deve possedere?

Il consulente del lavoro “algoritmico”

Il consulente del lavoro, tradizionalmente, è un libero professionista che si occupa di consulenza in ambito giuslavoristico. Egli possiede competenze nell’amministrazione del personale subordinato e parasubordinato per conto di imprese ed enti.

Appare lapalissiano che, in un ambiente lavorativo in continua evoluzione, sia necessario ripensare al ruolo che deve essere accordato al consulente del lavoro. Si tratta di una figura che, potenzialmente, potrebbe divenire il punto di collegamento tra mondo lavorativo e mondo della regolamentazione. E’ risaputo, infatti, che se l’evoluzione tecnologica è in continua evoluzione ed espansione, altrettanto non può dirsi per l’ambito giuridico. Se la tecnologia corre, la regolamentazione giuridica arranca.

In questo scenario è proprio il consulente del lavoro a poter divenire il punto di nevralgica importanza. Egli, essendo chiamato a risolvere gli aspetti pratici che si realizzano nella realtà quotidiana, potrebbe, al tempo stesso, prevedere e prevenire i rischi che potrebbero concretamente determinarsi.

Da questo la necessità che venga re-interpretata la propria funzione e il proprio ruolo. Nel momento in cui tutto questo viene inserito nel mondo “umano-sintetico” dell’ambiente lavorativo al consulente del lavoro 4.0. viene richiesto di assumere competenze non solo giuridiche ma anche tecniche per adempiere al meglio la propria funzione.

In questa prospettiva il ruolo proprio che dovrebbe esercitare sarebbe quello di coordinatore di un team, composto da giuristi, ingegneri, psicologi, sociologi per definire la migliore strategia da adottare. Ulteriore compito attiene alla predisposizione di modelli “safety” per prevenire i rischi che si potrebbero concretizzare da frizioni tra mondo umano ed artificiale.

La domanda che rimane sullo sfondo è se questo consulente debba essere umano, sintetico, o se, per meglio rappresentare le istanze di entrambe le parti, siano necessari due consulenti presenti in ogni impresa: uno umano ed uno sintetico.