Libri, abiti, strumenti elettronici, complementi d’arredo: qualsiasi prodotto oggi può essere acquistato on line. L’ecommerce è ormai un’alternativa concreta, conveniente e veloce al tradizionale acquisto in negozio. E se la scelta effettuata non ci convince, abbiamo il diritto di recedere dal contratto, restituire il bene acquistato e chiedere il rimborso del prezzo pagato. Attenzione però: dopo il recesso le spese di restituzione sono normalmente a carico del consumatore, salva diversa volontà del venditore.

Acquisti online e diritto di recesso

A chi non è mai capitato di ordinare on line un abito e di accorgersi, dopo averlo indossato, che non è della taglia giusta o che non soddisfa le proprie aspettative? In questi casi il consumatore può esercitare entro 14 giorni il diritto di recesso, che gli consente di restituire il bene e ricevere il rimborso del prezzo pagato. Lo stabilisce l’art. 52 del Codice del consumo.

L’acquirente on line gode quindi del diritto di ripensare alla convenienza dell’acquisto una volta che sia entrato in possesso del prodotto. Tale facoltà è riconosciuta proprio in ragione dell’impossibilità di verificare “dal vivo” la qualità della merce.

Quando non si può esercitare il diritto di recesso

La particolare natura di alcuni prodotti non consente di esercitare il diritto di recesso. Tra le fattispecie di acquisto per le quali è precluso il diritto al ripensamento ci sono:

  • la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati;
  • la fornitura di beni deteriorabili;
  • la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna;
  • la fornitura di giornali, riviste e periodici, ad eccezione dei contratti di abbonamento;
  • la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna.
  • contratti di modesta entità in base ai quali il corrispettivo che il consumatore deve pagare è inferiore a 50 Euro.

In questi casi il venditore ha il diritto di rifiutare la restituzione del prodotto e il rimborso del prezzo.

Diritto di recesso: come esercitarlo

L’abito che abbiamo acquistato on line ci sta stretto, non possiamo correre il rischio di doverci trattenere proprio a quella cena luculliana organizzata dalla nostra migliore amica per i suoi 30 anni. Non ci resta che esercitare il diritto al recesso. A tal fine possiamo:

  • utilizzare un modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B, del Codice del consumo;
  • inviare una semplice dichiarazione al venditore con cui comunichiamo la volontà di recedere dal contratto, senza necessità di specificare il motivo.

Spesso il venditore mette a disposizione apposito form sul proprio sito internet in modo da agevolare il cliente.

Gli effetti del recesso

Abbiamo comunicato al venditore la nostra volontà di recedere dal contratto (non senza un pizzico di dispiacere). Siamo liberati dagli obblighi contrattuali assunti. Dobbiamo perciò restituire l’abito entro 14 giorni dalla comunicazione della volontà di avvalerci del diritto al recesso.

Il professionista è invece tenuto a rimborsarci il prezzo pagato, eventualmente comprensivo delle spese di consegna, senza ritardo e comunque entro 14 giorni dal momento in cui è informato della nostra decisione di recedere dal contratto. Il venditore non è tenuto al rimborso di costi supplementari se il consumatore sceglie un tipo di consegna più costoso rispetto al tipo offerto.

Recesso e spese di restituzione

Abbiamo ripiegato l’abito, l’abbiamo imballato (sempre con quel pizzico di dispiacere) ed è giunto il momento di restituirlo al venditore. Fatto il recesso le spese di restituzione sono a nostro carico? Ebbene sì. Tendenzialmente le spese di restituzione gravano sul cliente, purché il venditore non abbia scelto di offrirle o abbia omesso di informare il consumatore che tale costo grava su di lui.

Il venditore è tenuto a informare il cliente sulle politiche di restituzione. É dunque necessario indicarle nel documento di termini e condizioni di vendita e nella conferma d’ordine. La mancata informazione fa gravare sul venditore i costi di restituzione.

Il recesso senza spese di restituzione

Molte aziende oggi offrono un servizio di reso gratuito (recesso senza spese di restituzione) come politica commerciale per incentivare gli acquisti on line. Una sorta di contrappeso alla mancanza del camerino.

Alcune aziende, soprattutto nel settore della moda, presentano un modello di business che si concentra nelle nuove collezioni, pertanto politiche di reso gratuito incentivano il cliente a ordinare di più e senza esitazioni anche in caso di acquisti più costosi. É questa la politica commerciale di colossi come Zalando, che in un articolo de “Il Post” è stata presentata come una delle società che più investe sui resi, tanto da realizzare campagne pubblicitarie proprio per incentivare i clienti alla restituzione dei prodotti indesiderati.

Ma non solo: sempre più imprese offrono il servizio di reso attraverso i Locker, comodi punti di consegna che non comportano alcuna spesa di restituzione.

L’abuso del recesso senza spese di restituzione

Il servizio di reso gratuito si pone a tutto vantaggio del cliente: gli consente di vedere il prodotto acquistato on line e, in caso di mancata corrispondenza alle aspettative, restituirlo. Tuttavia c’è chi abusa di tale servizio, sfruttandolo oltre le finalità per cui è consentito. Una deriva che si è diffusa soprattutto nel mercato della moda. Il servizio di reso gratuito è diventato un modo per avere a disposizione un numero illimitato di abiti e accessori sempre diversi, senza pagarli. Come fosse un noleggio gratuito.

I restitutori seriali comprano l’abito firmato, lo indossano per fare un figurone in un’occasione speciale (nascondendo per bene l’etichetta), lo restituiscono al venditore e attendono il rimborso spese. E poi ne ordinano un altro: non sia mai che si trovino ad una cena con le stesse persone indossando lo stesso abito. Da shopaholic a returnaholic il passo è breve.

Ma oggi non funziona più così. La cronaca ci insegna che anche regine e duchesse indossano abiti low cost e riciclati. Perciò molte aziende sono corse ai ripari. Secondo un’indagine riportata da “Independent”, il 45% dei venditori inglesi, tra cui Asos e Harrods, si è proposto di stilare una blacklist dei clienti che abbiano fatto un uso sospetto del servizio resi…Tempi duri per i restitutori seriali!