Com’è regolata la proprietà intellettuale dell’invenzione del dipendente?

Innovazione e creatività, fondamentali per le imprese, assumono importanza soprattutto quando il dipendente giunga a realizzare un’invenzione. Una tale conquista incrementa il prestigio dell’impresa sul mercato, ed anche del lavoratore stesso, le cui conoscenze diventano un vero valore aggiunto.

Inventori di software per il mondo del lavoro, di algoritmi di matching, e poi ancora di sistemi applicati alla nanomedicina. Questi e altri sono stati inseriti da Forbes Italia, proprio in questi giorni, tra i 100 italiani under 30 più innovativi.

Di fronte ad un’invenzione del dipendente, a chi spetta la relativa paternità dell’opera? In altri termini, a chi va la proprietà intellettuale?

La legge ha scelto di comporre due interessi contrapposti, del lavoratore e del datore, nel senso di attribuire sempre e comunque al lavoratore il diritto morale sull’invenzione, distinguendo invece gli effetti patrimoniali, a seconda che l’invenzione sia o meno maturata in ambito lavorativo.

La tutela della proprietà intellettuale

Di fronte ad un’invenzione, occorre affrontare un’esigenza di fondo. Quella di conciliare l’interesse del lavoratore-inventore a esserne riconosciuto autore, e a poterla sfruttare in qualche modo, e l’interesse dell’impresa a trarne un profitto.

In generale, se parliamo di opere dell’ingegno spettano all’inventore tutti i diritti derivanti (quelli morali e quelli patrimoniali). Lo stabilisce la legge sul diritto d’autore (L. 633/1941).

Tuttavia nel caso del lavoratore il discorso è più complesso, e la soluzione non è così immediata.

Infatti, questa legge non dà indicazioni sulle opere dell’ingegno cui giunga il lavoratore: contiene solo alcune previsioni relative ad opere specifiche. Per esempio riguardo alla creazione di software e database, o di fotografie, realizzati nell’espletamento delle mansioni o comunque seguendo le istruzioni del datore. In questi casi, la legge prevede che spetta al datore il diritto esclusivo al loro uso economico, e nessun compenso extra al dipendente (rispettivamente, art. 12-bis e art. 88). La legge sul diritto d’autore tutela in particolare anche la brevettabilità dei software, a cui abbiamo riservato un approfondimento specifico.

Ad occuparsi “più da vicino”, tra altre cose, delle invenzioni del lavoratore dipendente è invece il Codice della Proprietà Industriale, C.P.I. (D. Lgs. 30/2005). Vediamo insieme come.

Le regole sull’invenzione del dipendente

Il lavoratore ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del proprio lavoro, come previsto dal codice civile.

All’impresa è attribuito (soltanto) il diritto di utilizzo economico della scoperta, così derogando alla regola generale del diritto industriale che abbiamo visto sopra e per la quale il diritto al brevetto e i diritti patrimoniali conseguenti spettano all’autore dell’invenzione.

Perché tale deroga? Perché, generalmente, i risultati del lavoro del dipendente spettano all’impresa, dunque all’imprenditore, il quale stipula un contratto di lavoro per far svolgere un’attività che può portare ad un’invenzione, sopporta il relativo costo e, soprattutto, il rischio economico e organizzativo, a fronte di un risultato solo possibile.

Fatta questa premessa, vediamo ora più nel dettaglio cosa prevede il C.P.I., in particolare all’art. 64 che illustra i diritti spettanti al lavoratore distinguendo tra tre diverse tipologie di invenzioni.

Le tre tipologie di invenzione del dipendente

Come anticipato, all’interesse dell’imprenditore ai risultati degli investimenti economici si aggiunge l’interesse del dipendente-inventore a veder riconosciuto il proprio contributo al progresso della tecnica.

Si distinguono diversi tipi di invenzioni.

Invenzione di servizio

Si tratta delle invenzioni cui il lavoratore giunge nell’esecuzione di un contratto di lavoro di cui è oggetto proprio l’attività inventiva, retribuita a tale scopo (art. 64 C.P.I, comma 1). In altri termini, a realizzare l’invenzione è un dipendente assunto proprio per svolgere attività di ricerca inventiva, e la sua retribuzione è stata determinata considerando anche tale aspetto.

In questo caso la proprietà intellettuale spetta al lavoratore: questi ha il diritto di essere riconosciuto autore delle invenzioni, mentre al datore di lavoro va lo sfruttamento economico dell’invenzione.

Invenzione d’azienda

Si tratta di quelle realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto di lavoro senza che sia prevista una retribuzione in compenso dell’attività inventiva (comma 2). Anche per questa tipologia di invenzione la proprietà intellettuale è del lavoratore, che ne va riconosciuto autore. Al datore spettano i diritti derivanti dall’invenzione.

La particolarità di queste invenzioni è che il lavoratore ha diritto ad un equo premio, al verificarsi di due diverse eventualità: quando il datore di lavoro ottenga il brevetto sull’invenzione, oppure quando la utilizzi in regime di segretezza industriale.

Il brevetto ha durata limitata, e serve a consentire la diffusione della scoperta e a dare un’esclusiva commerciale sull’invenzione, per ripagare gli sforzi e l’inventiva che hanno consentito di raggiungerla. Il segreto industriale invece non ha limiti di tempo, e “copre” il bene con una tutela molto rigorosa: per fare un esempio, la formula della Coca Cola.

L’equo premio va determinato in base all’importanza dell’invenzione.

Invenzione occasionale

Infine, con invenzioni occasionali si indicano quelle realizzate nel corso di un rapporto di lavoro il cui oggetto è un’attività estranea al risultato inventivo raggiunto (comma 3). In altri termini, è occasionale l’invenzione che ri­entra nel campo di attività del datore di lavoro ma non viene fatta durante l’espletamento delle mansioni contrattuali. È meno evidente l’aiuto dato al lavoratore dall’organizzazione aziendale.

In questo caso, l’invenzione appartiene al lavoratore (sia i diritti economici sia quelli morali), ma il datore può scegliere tra l’uso, esclusivo o non, dell’invenzione, o l’acquisto del brevetto.

Il diritto al premio per l’invenzione del dipendente

Come possiamo immaginare, la questione più diffusa nella pratica è: di fronte a che tipo di invenzione siamo? E quindi, spetta oppure no il premio al lavoratore?

Va anzitutto fugato un possibile equivoco: il diritto all’equo premio è attribuito al dipendente inventore in relazione all’invenzione, non al brevetto. Fermo che la proprietà intellettuale dell’invenzione va al dipendente, il premio “segue” l’invenzione, non il brevetto dal quale essa sia (in caso) coperta. Non è che ad ogni brevetto corrisponda un premio: il premio è unico, e per il suo riconoscimento è sufficiente il rilascio anche di un solo brevetto.

Il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all’autore dell’invenzione e ai suoi aventi causa (art. 63 C.P.I.).

Come distinguere invenzione di servizio e invenzione d’azienda

È quindi importantissimo distinguere se siamo di fronte ad un’invenzione di servizio (che non prevede il premio) o piuttosto ad un’invenzione d’azienda. Vediamo come fare.

Guardando all’attività oggetto del contratto

Un primo approccio è distinguere in base all’attività prevista dal contratto di lavoro. Nelle invenzioni di servizio, oggetto di contratto è l’attività inventiva.  Dunque il lavoratore ha mansioni potenzialmente idonee a produrre invenzioni, oppure è stato proprio incaricato a tale scopo.

Per fare un esempio: il responsabile di un laboratorio di ricerca.

Considerando il ruolo svolto dalla retribuzione

Un metodo alternativo è verificare se il contratto preveda un’esplicita retribuzione dell’attività inventiva: se manca, spetta l’equo premio al dipendente.

In altri termini, l’attività inventiva è prevista in contratto, solo che nel caso dell’invenzione di servizio è specificamente pagata.

Una soluzione intermedia

La soluzione più convincente però considera gli accordi tra impresa e lavoratore e la volontà delle parti. Le parti hanno inteso pattuire una retribuzione a corrispettivo anche dell’obbligo del dipendente di svolgere un’attività inventiva? Se sì, non spetta il premio.

La proprietà intellettuale dell’invenzione

La paternità dell’invenzione, di qualunque tipo essa sia, spetta al lavoratore.

Chiaramente il datore di lavoro potrà scegliere di brevettarla, essendo solo in capo a lui tale facoltà. Ma in ogni caso sarà il nominativo del dipendente a dover essere indicato all’ Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (del suo ruolo ci siamo occupati in questo articolo).

Cosa significa che la proprietà intellettuale spetta al lavoratore:

  • il suo nominativo va indicato tutte le volte in cui l’invenzione venga descritta da un punto di vista tecnico-scientifico;
  • il diritto di esserne riconosciuto autore può poi essere rivendicato dai parenti o aventi causa, come chiarisce il C.P.I.;
  • è un vero proprio diritto “morale” del dipendente, personale, irrinunciabile, intrasmissibile ( 63 C.P.I.) e non soggetto a prescrizione;
  • anche nel caso di invenzione “di equipe”, può essere rivendicato dalla pluralità di coloro che abbiano effettivamente partecipato all’invenzione ( 6 C.P.I.).

E per l’invenzione nel settore pubblico?

Le regole che attribuiscono la proprietà intellettuale al dipendente si applicano anche nel lavoro pubblico. C’è però una differenza rispetto al caso delle imprese private di cui all’art. 64 C.P.I. sopra visto. Per le invenzioni fatte da ricercatori universitari e di enti pubblici, spettano loro i diritti non solo brevettuali, ma anche economici: almeno il 50% dei proventi dell’invenzione (art. 65 C.P.I.).

Un inventore passato alla storia

Prima di concludere, vorremmo omaggiare un inventore forse non noto a molti, ma il cui ruolo è stato sicuramente determinante, oggi che siamo al tempo dell’industria 4.0.

Negli anni Settanta il vicentino Federico Faggin, fisico emigrato negli Stati Uniti, inventava il microchip. All’epoca egli lavorava alla Intel, presso la quale, applicando la tecnologia SGT, giunse a progettare il primo microprocessore commerciale al mondo (Intel 4004). Seguirono poi altri microprocessori come l’8008, il 4040, e infine l’8080, il primo microprocessore veloce a 8 bit che ampliò radicalmente la gamma di applicazioni.

Oggi utilizziamo strumenti e dispositivi che sicuramente, senza questo contributo, non avremmo o non avremmo come li conosciamo.