Nel prossimo futuro inizieremo a parlare e pagare in cinese? Forse no, ma nel frattempo l’economia del Dragone ha già conquistato il primato mondiale nella produzione manifatturiera e si appresta a diventare la prima potenza economica mondiale. E, come se non bastasse, con l’introduzione di una valuta digitale denominata DCEP ora punta anche a conquistare ed innovare profondamente il mercato valutario, storicamente dominato dagli Stati Uniti.

Dal 2020 allo yuan tradizionale si è infatti affiancato anche il DCEP (Digital Currency Electronic Payment), moneta digitale meglio nota come “Yuan digitale”. Questo è il primo esempio concreto di valuta digitale di Stato o Central Bank Digital Currency (CBDC). È infatti la prima volta che una valuta nazionale viene digitalizzata.

Tra paura e curiosità la sperimentazione viaggia spedita e si può tranquillamente affermare che le fondamenta del nuovo standard sono già state poste molto in profondità.

Può la versione digitale di una moneta già esistente essere considerata una vera rivoluzione copernicana? E cosa significa per la Cina imporsi in un campo storicamente dominato dal dollaro americano?

Proveremo a dare le risposte a tutte le vostre domande in questo affascinante viaggio verso oriente offerto da SmartIUS.

Yuan e DCEP

Quando si sente nominare lo yuan non si hanno dubbi e si pensa subito alla moneta della Repubblica Popolare Cinese. Non sembra aver bisogno di particolari presentazioni. Ma la questione non è così semplice.

Forse stupirà sapere che in realtà è il renminbi la valuta avente corso legale nel territorio cinese e che viene emessa dalla Banca Popolare Cinese. Il nome renminbi significa «valuta del popolo» e si trova spesso abbreviato anche con la sigla RMB. L’abbreviazione ufficiale (conforme allo standard internazionale ISO 4217) è invece CNY.

Lo yuan è infatti l’unità base del renminbi, a sua volta diviso in jiao (decimi) e fen (centesimi). Ma yuan significa anche “moneta” in cinese ed è usato come sinonimo di renminbi, in sostituzione del nome ufficiale.

Il DCEP (anche detto e-CNY) è invece la nuovissima valuta digitale emessa dalla Banca Centrale Cinese. Ha corso legale in Cina, coerentemente con quanto stabilito nelle varie sperimentazioni, ed il cambio è stato fissato a parità con lo Yuan. Il DCEP nasce quindi come versione digitale dello Yuan e ad esso ancorato. Al contrario, per esempio, del Petro venezuelano, che nonostante sia tecnicamente una CBDC non è legato al Bolivar ma al prezzo del barile di petrolio.

La nuova moneta digitale è basata su Blockchain come le ormai famose criptovalute, ma da queste è assai distante sotto diversi punti di vista. Primo fra tutti, lo Yuan digitale o DCEP è una “valuta digitale emessa da una banca centrale” (“Central Bank Digital Currency” o CBDC). Questo accentramento del potere nelle mani delle autorità statali si pone in totale contrasto con i principi alla base delle criptovalute e della finanza decentralizzata. Anche se con la progressiva normazione del fenomeno crypto questi principi di libertà diventano sempre più sfumati…e forse anche traditi.

Una CBDC per domarli

Il problema principale delle CBDC è appunto il fatto che si basano su sistemi gestiti dalle autorità nazionali (o sovranazionali) e dalle banche centrali. E proprio da queste autorità possono essere usate per avviare programmi di sorveglianza di massa estremamente efficienti. È evidente che una moneta digitale in mano al potere centrale porta la capillarità del controllo a nuovi livelli. Ma il problema purtroppo non si ferma al mero controllo.

Con i mezzi delle moderne società dell’informazione diventerebbe semplicissimo, per chi detiene il potere, disconnettere da tutti i suoi averi il cittadino impotente. Ad esempio, congelando tutti i suoi fondi o bloccando totalmente il suo portafogli virtuale.

Chi pensa che siano solo paranoie può riportare la sua memoria al primo marzo 2022, data in cui avvenne l’esclusione dal sistema di pagamenti SWIFT delle principali banche della Russia, il più grande stato del mondo e secondo per numero di utenti ad utilizzare il sistema.

Oppure basti pensare alla stessa Cina, la cui sovrapposizione di moneta digitale centrale e sistemi di cittadinanza a punti (o “social scoring”) genera molte preoccupazioni e dubbi negli osservatori. E ricordiamoci che sistemi del genere stanno già sbarcando anche in Italia e che molte altre iniziative – dai cassonetti elettronici al Green Pass – presentano tutti le caratteristiche del social scoring.

Con tutti questi strumenti il controllo totale della popolazione non appare più come una fantasia da romanzo distopico. E non sembrerebbe affatto sbagliato un approccio non affrettato e prudente all’adozione di queste tecnologie (vedi anche il nostro approfondimento sulle smart city). Soprattutto perché la loro stessa esistenza può essere considerata un pericolo per i diritti e le libertà delle persone.

La politica cinese e la rivoluzione del Web3

Per portare il mondo a pagare e parlare in cinese il governo della repubblica socialista del Dragone ha deciso di rivedere il suo approccio al Web3. Per Web3 si intende un’evoluzione del World Wide Web che incorpora concetti come il decentramento, le tecnologie blockchain e i token (NFT). Il termine nasce nel 2014 da alcuni post che teorizzavano la creazione di un web decentralizzato apparsi sul blog di Gavin Wood, fondatore di Polkadot e co-fondatore di Ethereum.

Questa nuova concezione sembrava proprio non piacere al governo cinese ed è sempre stata osteggiata. Almeno nella sua impostazione più classica.

Storicamente la Repubblica Popolare Cinese è infatti uno degli stati che ha imposto più restrizioni alle criptovalute, bandendo non solo lo scambio ma anche il “mining” (ovvero la loro generazione). Ma nel mese di giugno del 2021 qualcosa è cambiato. In quel periodo la banca centrale ha emesso i primi 40 milioni di valuta digitale DCEP (equivalenti a circa 6 milioni di dollari). Nella primissima fase lo yuan digitale è stato messo in palio come premio di una particolare lotteria (poi anche ripetuta) e poteva essere speso per acquisti sia in negozio che online.

Questo non ha portato per ora a nessun cambio di atteggiamento da parte del legislatore cinese, anzi. Proprio l’esistenza dello yuan digitale potrebbe essere la definitiva pietra tombale delle criptovalute sul suolo cinese.

Di fatto le immense megalopoli cinesi, spesso vere e proprie smart city, sembrano davvero un terreno fertile per una sperimentazione di questo tipo. Una sperimentazione destinata ad avere successo non tanto per via del tipico decisionismo del governo cinese o per la validità dello strumento in sé. Uno dei motivi della riuscita è sicuramente da attribuire alle peculiarità dell’economia cinese e delle super-app come Alypay e WeChat.

Non si deve infatti dimenticare che la Cina domina per quanto riguarda i pagamenti mobile. Il totale del transato in territorio cinese per questa particolare categoria di pagamenti è infatti oltre la metà di quello globale.

Come usare lo Yuan digitale

Se già parlate cinese ora non resta che imparare a pagare in cinese con lo yuan digitale. Il processo lato utente è infatti molto semplice ed intuitivo al fine di rendere il pagamento elettronico uno strumento preferibile sotto quasi ogni punto di vista. Ma andiamo a vedere nel dettaglio come funziona questo sistema.

Quando un utente desidera effettuare un acquisto, nell’apposita applicazione verrà generato un Codice QR per autorizzare la transazione in tempo reale. Inoltre, l’apposita funzionalità NFC (“Near Field Communication”) può essere utilizzata per operare anche quando non è disponibile nessuna connessione ad Internet. Un metodo semplicissimo, lineare ed intuitivo.

Va sottolineato che in Cina l’utilizzo del contante è sempre più in calo a favore di soluzioni digitali pratiche e user friendly, in particolare le transazioni da smartphone.

Lo yuan digitale avrebbe inoltre dovuto debuttare in pompa magna alle Olimpiadi Invernali di Pechino. Purtroppo, la pandemia e la strategia “zero covid” del governo hanno ridimensionato la portata di questa splendida vetrina internazionale. Per quanto all’interno del Villaggio Olimpico si sia comunque regolarmente pagato usando la valuta digitale DCEP, le particolari contingenze storiche hanno comunque avuto il loro peso. In condizioni di normalità l’evento avrebbe avuto tutta un’altra portata e risonanza. Con ovvie conseguenze sulle velleità internazionali della valuta digitale, almeno dal punto di vista mediatico.

Il governo cinese, come la gran parte dei governi di tutto il mondo, scoraggia sempre più l’uso di banconote e monete. Questo perché ormai ritenute di non semplice utilizzo e per via dei costi di produzione e stoccaggio elevati. Senza contare l’annoso problema della falsificazione. Ma soprattutto, anche se non si vuole mai ammetterlo fino in fondo, per via della mancanza di tracciabilità.

Un mondo senza contante?

Il continuo processo di digitalizzazione non si arresta, e non si capisce perché mai avrebbe dovuto risparmiare proprio le valute. D’altra parte, gran parte del denaro che ormai trattiamo non è altro che un numero “pixellato” su un display. L’accredito degli stipendi ormai avviene esclusivamente tramite strumenti tracciabili, ossia escludendo il contante. Per acquistare sui siti dei giganti dell’eCommerce vi è bisogno di pagare con strumenti digitali o convertire i propri contanti in “credito” nelle ricevitorie.

In ogni caso, il salto da questo alla completa abolizione del contante risulta un passaggio molto pesante. E sottintende tutta una serie di conseguenze di non poco conto per i diritti e le libertà delle persone.

L’esempio perfetto di ciò è quanto avvenuto in Canada il 14 febbraio 2022. In questa data Justin Trudeau ha dichiarato lo stato di emergenza e bloccato i conti “posseduti o controllati da chiunque sia coinvolto” nelle proteste dei camionisti del Freedom Convoy che avevano paralizzato la capitale. Persino i wallet dei manifestanti sono stati attenzionati, sollevando molti interrogativi sulla reale capacità delle criptovalute di eludere il sempre più ineluttabile potere statale.

Al di là degli schieramenti vi è un grande dilemma: se il politico che ami può farlo a coloro che odi, cosa impedirà al politico che odi di farlo a coloro che ami? Insomma, la realtà è sempre un po’ più sfaccettata di come la descrivono gli ultras dei vari partiti.

La moneta del futuro e il ruolo della Cina

In tutto il quadro fin qui delineato dobbiamo quindi finire di dare forma al nostro protagonista. Il ruolo della Cina non si ferma certo alla valuta digitale e al DCEP, ma fa parte di una strategia di ben altra portata.

A quanto sin qui detto dobbiamo aggiungere due ulteriori elementi: il CIPS e la Nuova Via della Seta (anche detta Belt and Road Initiative).

Il CIPS (Cross-border Interbank Payment) è il sistema di pagamento sviluppato nel 2015 dalla Cina. Questo concorrente diretto del più famoso SWIFT è utilizzato per i crediti internazionali in yuan e i commerci legati alla Nuova Via della Seta. La diffusione di questo servizio è stata spinta dall’estromissione della Russia dallo SWIFT, fino ad allora otto volte più grande per volume di scambi. Le banche russe si sono quindi dovute rivolgere al CIPS per poter continuare ad operare mantenendo determinati livelli di servizio.

Per Nuova Via della Seta si intende invece l’insieme delle iniziative strategiche della Repubblica Popolare Cinese volte allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica. Tutto ciò con l’ausilio della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), una diretta concorrente di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Asian Development Bank (ADB) fortemente voluta da Pechino. Il fine del progetto è espandere e facilitare il commercio delle merci cinesi e attrarre investimenti sul territorio cinese. Anche l’Italia ha firmato un accordo in merito nel 2019 – ed è stato l’unico Paese del G7 ad averne sottoscritto uno – ma nell’attuale scacchiere geopolitico rischia di saltare. E forse non sarà l’unica difficoltà che incontrerà in Europa visto il clima attuale.

Tra successi e criticità va quindi avanti la strategia cinese per ampliare la sua influenza e la portata dei suoi commerci in tutto il mondo.

Lo yuan digitale, unito all’espansione del CIPS e della Nuova via della seta, potrebbe portare la Cina a dominare il mercato valutario. Con l’ovvia conseguenza di detronizzare il dollaro e “dare il la” alla de-dollarizzazione, che tuttavia è già cominciata. Ben prima di un eventuale colpo di spalla ad opera del DCEP.

Vale infine la pena citare i BRICS – acronimo utilizzato per indicare collettivamente Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – e la New Development Bank (NDB). Quest’ultima è la banca di sviluppo multilaterale dei BRICS che attrae anche molti altri paesi nell’orbita degli stessi BRICS. NDB che nel 2021 ha formalizzato l’adesione di Bangladesh, Emirati Arabi Uniti, Uruguay ed Egitto. E altri stati come Arabia Saudita, Argentina, Iran, Tunisia e Algeria hanno mostrato interesse e stanno discutendo l’ingresso nei BRICS o nella NDB.

Tutto questo apre nuovi orizzonti proprio per il DCEP e la sua adozione come valuta digitale anche oltre i confini cinesi.

E noi come pagheremo?

Ma non è solo sotto un aspetto strettamente geopolitico e di guerra valutaria che si può guardare a quanto sta accadendo.

Infatti, la Repubblica Popolare Cinese sembra aver già tracciato la rotta, visto che proprio l’Unione Europea sta valutando l’introduzione di un Euro Digitale. Non possiamo far altro che osservare attentamente cosa avviene in Cina per imparare il più possibile prima che una CBDC arrivi anche qui. Ed è soltanto questione di “quando” e non di “se”.

La sperimentazione in suolo europeo è ancora ad uno stato iniziale e al momento si concentra sul versante teorico. Tuttavia, procede spedita e non si può escludere che presto passerà a una fase di collaudo molto più pratica. Quindi, anche con i riflettori spenti, si lavora alacremente affinché una valuta digitale del tutto analoga al DCEP arrivi anche da noi.

Giunti sin qui possiamo quindi affermare che forse non parleremo e pagheremo in cinese, ma certamente useremo anche noi una moneta digitale molto presto.