Si fa presto a dire blockchain!

Si sente parlare sempre di più di questa tecnologia, quasi sempre in relazione alla Bitcoin–mania. Ma blockchain non significa solo criptovalute, anzi. Quello bancario e finanziario è solo uno dei numerosi ambiti di applicazione possibili, certamente il primo e più discusso per l’impatto rivoluzionario, e non ancora ben regolamentato (qui il nostro approfondimento), di questa nuova forma di finanza.

La blockchain tuttavia rappresenta molto di più. Di per sé non offre altro che un archivio, un registro decentralizzato di transazioni distinte da un hash univoco: per poterla sfruttare è poi necessario accompagnare un servizio di qualche tipo. La vera rivoluzione che essa porta, come abbiamo spiegato ripercorrendone la storia, è quella di rendere tutti i dati in essa contenuti accessibili e verificabili dagli utenti, inalterabili, e quindi sicuri.

Le criptovalute, insomma, non sono che la punta dell’iceberg, l’applicazione per adesso più visibile (e potenzialmente minacciosa, secondo qualcuno) della blockchain. Sotto la superficie, però, vi è molto di più, in buona parte ancora da scoprire e sperimentare (un esempio? Il blockchain gaming!). Come detto si tratta infatti di uno schema generale, da tradurre poi in singole applicazioni specifiche creando un sistema personalizzato per gli scopi ed esigenze del caso concreto.

Tutto questo in teoria. Ma cosa significa nella pratica? Quali sono gli aspetti da valutare per implementare un progetto basato sulla blockchain in azienda, e con quali costi, benefici e rischi? In Italia, quali sono i settori e le applicazioni più all’avanguardia?

Ne abbiamo parlato con l’Avvocato Lucia della Ventura, esperta di diritto del digitale, blockchain e intelligenza artificiale, e ricercatrice presso il Trinity College di Dublino, che ha al suo attivo numerose iniziative e successi anche in campo sociale ed educativo (qui il suo profilo LinkedIn).

Come possono beneficiare della blockchain le imprese dei settori trainanti dell’economia italiana, come la moda, la manifattura, l’agroalimentare e il turismo?

La blockchain è una tecnologia piuttosto “democratica”. In altre parole, tutti i settori dell’economia italiana possono potenzialmente beneficiare dei suoi punti di forza. Le sue caratteristiche possono essere intelligentemente utilizzate per migliorare e rendere più efficiente sia la catena produttiva e distributiva, sia il rapporto col cliente.

Facciamo qualche esempio concreto. Partiamo dalla moda e dalla manifattura, settore in cui l’Italia ha una tradizione storica e di altissimo livello.

Il settore della moda e della manifattura, dalle piccole realtà a quelle internazionali, può beneficiare di questa tecnologia per garantire alla clientela l’autenticità dei prodotti “Made in Italy”.

Con la blockchain è possibile, infatti, produrre certificazioni inalterabili di origine, valore e unicità di un certo prodotto. Inoltre è possibile seguirne tutti i relativi passaggi di proprietà, per esempio su un eventuale second-hand market.

Questo garantisce, al contempo, sia una maggiore trasparenza delle informazioni circa la provenienza dei materiali e delle caratteristiche del bene, sia un’efficace lotta alla contraffazione. Un esempio molto noto in questo senso è la piattaforma Virgo, frutto della collaborazione tra quattro aziende internazionali, Temera, PwC, Luxochain e Var Group. Virgo è dedicata esclusivamente alla tracciabilità dei beni di lusso, garantendo al consumatore l’originalità e la provenienza dei capi e delle materie prime utilizzate. Tutti elementi decisamente importanti nel fashion business (vedi anche il nostro approfondimento su green fashion ed eco-etichette).

Di conseguenza l’azienda ha un enorme impatto in termini di competitività sul mercato, accrescendo la fiducia del consumatore.

E per quanto riguarda l’agroalimentare, altro settore di eccellenza che tutto il mondo ci invidia?

Si pensi alla tracciabilità del prodotto o del bene in questione lungo la filiera produttiva fino al consumatore finale. È possibile utilizzare la blockchain per creare catene di approvvigionamento più smart e più sicure, potendo tracciare il percorso del prodotto in tempo reale a vantaggio della cosiddetta “food safety”.

Una delle aziende che per prima in Italia ha adottato questa tecnologia è stata Carrefour, proprio per garantire la qualità della filiera alimentare.

Infine, il turismo, ambito in cui come sappiamo l’Italia ha potenzialità immense…

Sono tantissime le iniziative in questo settore. Ad esempio, la blockchain è utilizzata dalle aziende per creare piattaforme decentralizzate di prenotazione viaggi, garantendo un abbattimento dei prezzi anche del 20%. Basti pensare a Winding Tree.

Oppure ancora, questa tecnologia è utilizzata per gestire i pagamenti assicurativi in caso di ritardi aerei (per esempio Etherisc, o le polizze Fizzy della Compagnia Assicurativa Axa, purtroppo “archiviate” nel 2019); o addirittura per creare dei token che possono essere riscattati dai clienti in caso di vacanza rovinata o per soggiornare in alcuni hotel, come dei veri e propri voucher.

Insomma, i potenziali utilizzi della blockchain per le aziende sono tantissimi, a patto che sia davvero una tecnologia utile per il proprio modello di business.

La blockchain è (o sarà) veramente una tecnologia “per tutti” e “alla portata di tutti”?

Ci sono due modi per capire se una certa tecnologia può avere un successo duraturo. Il primo modo è renderla accessibile a tutte le tipologie di utenti. Il secondo è renderla competitiva per il mercato.

Una citazione molto famosa dell’informatico Tony Hoare dice che “il prezzo inevitabile dell’affidabilità è la semplicità”. Credo che la blockchain sarà davvero alla portata di tutti appena tutti sapranno come usarla.

Se da un lato c’è dunque bisogno di renderla di semplice utilizzo pratico, dall’altro è necessario introdurre anche una “blockchain literacy”, ossia una vera e propria rivoluzione educativa che ampli la conoscenza e la capacità delle persone di interagire con questa nuova tecnologia, rendendola familiare.

Come pensi che potrebbe avvenire questo passaggio da tecnologia “emergente” a tecnologia stabilmente diffusa?

Innanzitutto, come abbiamo detto, è necessario rendere la blockchain sfruttabile da tutte o almeno dalla maggior parte delle aziende presenti sul mercato.

Generalmente questo accade quando l’utilità di una tecnologia supera i confini settoriali, e diventa più competitiva. Di conseguenza, i costi di innovazione si abbassano per accomodare la domanda dei consumatori/utenti, con sempre maggiore offerta da parte delle aziende.

È accaduto in passato con Internet, ad esempio. All’origine era appannaggio di pochissimi e confinata al settore della difesa militare, salvo poi espandersi e trasformarsi per come lo conosciamo oggi!

L’esempio di Internet rende davvero bene l’idea! Quando pensi che potrebbe succedere tutto questo in relazione alla blockchain e alle sue applicazioni?

In questo senso stiamo già vivendo una sorta di punto di svolta in cui si iniziano a vedere le prime interazioni quotidiane con la blockchain da parte di una rete ampia di utenti e di aziende.

Il vero momento di singolarità, tuttavia, arriverà quando questa tecnologia raggiungerà il punto di non ritorno, cioè il momento in cui la sua applicazione non sarà più solo settoriale, determinando un allargamento di mercato. Considerando la velocità con la quale gli investitori internazionali e le istituzioni si stanno muovendo, sia in termini di finanziamenti alle aziende che di regolamentazione della blockchain, si può stimare che nei prossimi 10-15 anni potremmo assistere a questa svolta di mercato.

In altre parole, continuare ad innovare i servizi blockchain per renderli più semplici, più competitivi e più affidabili sarà la chiave di volta per far sì che questa tecnologia conquisti il futuro.

Quali possono essere i costi per un’impresa che volesse realizzare un progetto basato sulla blockchain? Da dove partire?

C’è un elemento prioritario che tutte le aziende dovrebbero valutare: gli effetti in termini di costi e di benefici della blockchain in relazione al progetto da sviluppare o da lanciare sul mercato. In altre parole, si tratta di confrontare i costi che l’azienda dovrebbe sostenere per utilizzare un sistema blockchain rispetto ai benefici che potrebbe trarne a livello di ritorno economico, di gestione intelligente delle sue risorse e di miglioramento della customer experience.

Iniziamo dai costi per implementare un progetto su blockchain: cosa ci puoi dire al riguardo?

Attualmente i costi di sviluppo e mantenimento di una blockchain sono alquanto elevati, parliamo di centinaia di migliaia di euro.

Ciò implica che sviluppare una blockchain dedicata interna all’azienda potrebbe non essere di facile appannaggio, specie per le aziende o startup in fase iniziale o seed che vogliono testare il progetto e il relativo prodotto/servizio sul mercato.

In quest’ultimo caso però è possibile “appoggiarsi” a sistemi blockchain già esistenti, pagando un costo mensile notevolmente ridotto che permetta alle aziende di risparmiare sui costi di scalabilità del servizio. Ovviamente il costo dipende dalla tipologia di servizio da offrire e dal tipo di blockchain che dovrebbe supportarlo: si oscilla tra le centinaia e le migliaia di euro mensili.

Un esempio è la neonata Amazon Managed Blockchain o i servizi API offerti dalla piattaforma AION, che consente agli sviluppatori di accedere e interagire direttamente con la blockchain.

Risolta la questione strettamente legata alla blockchain, va poi considerato lo sviluppo effettivo del singolo prodotto o servizio che vi si appoggerà. Dipende quindi se, ad esempio, si tratta di sviluppare un servizio su una applicazione web o mobile, un eCommerce, un software as a service (Saas), un servizio interno all’azienda stessa, o altro ancora. Tempi e i costi dello sviluppo saranno, ovviamente, del tutto diversi.

Bisognerà poi pensare allo sviluppo di una UX, di un design di sicurezza digitale per la protezione dei dati, plug-in, estensioni, ecc.

E in rapporto ai benefici?

Chiaramente ogni singola azienda dovrà valutare se l’investimento iniziale possa sul lungo periodo essere ripagato dal volume di ritorni economici, dal miglioramento dei rapporti col cliente, di efficienza dei servizi offerti sul mercato, di immagine, e così via.

Per poter avere una visione di insieme è comunque necessario ricordare che la blockchain deve essere legata al tipo di progetto da sviluppare. In questo senso, come abbiamo già visto, i costi saranno maggiori o minori a seconda del tipo di prodotto o servizio che si intende fornire sul mercato.

Come si può facilmente comprendere, le opportunità sono molteplici e vanno vagliate man mano in relazione al caso concreto, alla singola azienda e al singolo progetto.

Se si parla di blockchain, si deve parlare anche di smart contract. Quanto sono diffusi oggi? Sono davvero alla portata di piccole e medie imprese?

Facciamo una breve premessa. Uno smart contract è un tipo di programma informatico che viene eseguito su blockchain e che risponde alla logica “if/then”. Significa che al verificarsi di una data condizione o evento, prestabiliti all’interno del codice, il programma eseguirà automaticamente la prestazione o la transazione voluta.

Attualmente non tutte le blockchain possono ospitare protocolli smart contract, ma soltanto quelle il cui design lo permette.

L’esempio più famoso è certamente la blockchain Ethereum. In Ethereum, uno smart contract è un tipo di account che non viene gestito da un utente, ma viene distribuito all’interno della rete affinché, al verificarsi delle condizioni predeterminate, esso esegua automaticamente una funzione definita.

In Italia a che punto siamo con la disciplina degli smart contract?

Facciamo un passo indietro. È innanzitutto importante capire che uno smart contract può incorporare una transazione anche di natura giuridica, potendosi stabilire regole e funzioni tipiche di un normale contratto, che verranno poi eseguite automaticamente tramite il codice informatico. Sebbene la natura giuridica degli smart contract sia ancora dibattuta, molte sono le tesi a favore del riconoscimento della natura contrattuale di alcune tipologie.

In questo senso, l’Italia è stata uno dei primi Stati membri dell’Unione Europea a riconoscere a livello legislativo, con il D.L. n. 135/2018 (art. 8-ter), la funzione giuridica di questo protocollo informatico che sia utilizzato tra le parti allo scopo di vincolarle alle condizioni da loro predefinite.

Fa piacere sapere che siamo al passo con i tempi nel regolamentare questa tecnologia. Per quanto riguarda l’effettiva diffusione degli smart contract cosa ci puoi dire?

Ad oggi gli smart contract sono certamente l’applicazione blockchain più diffusa.

Sono usati soprattutto per offrire servizi cosiddetti decentralizzati, cioè servizi che vengono offerti agli utenti ed eseguiti direttamente su blockchain. Un esempio è la piattaforma SingularityNET, che offre la possibilità agli utenti di accedere alla piattaforma blockchain e di utilizzare delle applicazioni simili a quelle presenti sugli smartphone. Si pensi ad una applicazione di miglioramento di immagini fotografiche ad esempio – ma che vengono eseguite con protocolli smart contract.

Si tratta di programmi che sono davvero alla portata di piccole e medie imprese, ed anche degli stessi utenti. Il linguaggio che ne è alla base è ormai accessibile per chiunque voglia addentrarsi nel mondo informatico e provare a distribuire i propri protocolli smart contract, e non soltanto usufruirne.

Un esempio è il linguaggio di programmazione Solidity, molto usato per lo sviluppo degli smart contract, o il più noto Python. Si tratta di linguaggi che con un po’ di impegno e tanta pratica possono essere imparati e sfruttati.

La blockchain è una tecnologia sicura? Quali sono i principali rischi per le imprese?

Nessuna tecnologia sviluppata dall’uomo è completamente sicura ed invulnerabile al 100%, un certo margine di fallibilità deve essere sempre contemplato. Fatta questa premessa, la tecnologia blockchain è sicuramente una delle più intrinsecamente sicure, data la sua architettura distribuita.

Tuttavia è sempre necessario proteggere la blockchain contro vettori di attacco quali il phishing, e contro le varie tipologie di malware, come attacchi ransomware, miner o cryptojacking. Questi tipi di attacchi rappresentano sicuramente i rischi maggiori per un’azienda.

Di phishing e ransomware ci siamo già occupati sulle pagine di SmartIUS. Spiegaci qualcosa di più su cryptojacking e miner, e perché rappresentano un pericolo per le applicazioni della blockchain.

Il cryptojacking è l’uso non autorizzato del computer di qualcun altro per estrarre criptovalute, “rubandone” le risorse computazionali. Gli hacker utilizzano spesso la tecnica dell’invio di una e-mail alla vittima, che viene indotta a cliccare su un collegamento web dannoso. In questo modo il codice malevolo verrà direttamente eseguito una volta caricato sul browser della vittima, il tutto ovviamente a sua insaputa.

Ancora più specifico è il miner, un tipo di cryptovirus che attacca la RAM del computer ospite, depositando righe di codice al suo interno, sempre allo scopo di convertire il computer della vittima in un sistema per minare criptovalute.

Come difendersi quindi?

È opportuno che un’azienda si doti a priori di un’ottima struttura interna di controllo e gestione. In particolare, bisogna sempre mirare ad un livello molto elevato di compliance al GDPR e di cybersecurity.

Questo non solo al fine di proteggere i dati conservati in blockchain, ma anche per evitare di incorrere in sanzioni piuttosto salate, che possono compromettere l’azienda.

Si tratta di accorgimenti che devono essere ben valutati e possibilmente integrati nella struttura aziendale, da un lato per prevedere e prevenire tutti i possibili rischi, e dall’altro per essere pronti per far fronte alle possibili conseguenze di un attacco informatico o di un problema tecnico.

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La redazione di SmartIUS ringrazia moltissimo l’Avvocato Lucia della Ventura per il tempo dedicato per spiegare le molte sfaccettature pratiche della blockchain.

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Lo scetticismo non è giustificato se si confonde il “cosa” con il “come”

Concluso l’incontro con l’Avvocato Lucia della Ventura, proponiamo un’ultima riflessione.

Secondo qualcuno, la blockchain rischia di essere una moda e una soluzione a problemi che non esistono. Jimmy Song, partner del fondo d’investimenti specializzato Blockchain Capital, durante Consensus 2018 (conferenza mondiale sulla blockchain) ha parlato di “martello in cerca di un chiodo”.

Non sono infatti pochi ad avere delle riserve, non tanto sulla tecnologia in sé quanto sull’ondata di progetti (e soggetti) poco credibili che la circondano. Basti pensare alla miriade di criptovalute minori che continuano a nascere (tra cui DentaCoin, criptovaluta per i dentisti; Pepecash, sorta di gioco di carte collezionabili acquistabili solo tramite questa criptovaluta; oppure TrumpCoin, PutinCoin…), o, tra i tanti, al caso della Long Island Ice Tea Corp.

C’è poi chi sostiene che i costi e la complessità tecnica delle applicazioni blockchain non giustificherebbero i risultati, essendo già disponibili delle alternative consolidate molto più accessibili. O che la disintermediazione che essa comporta sarebbe più un difetto che un pregio.

A parere di chi scrive, queste osservazioni non colgono nel segno.

La blockchain non è un prodotto finale, ma solo un mezzo tecnico. E come tutte le tecnologie, non è di per sé “giusta” o “sbagliata”, “buona” o “cattiva”. Bisogna semmai valutare, caso per caso, le singole applicazioni pratiche (il “cosa”), senza però confonderle con la tecnologia che le rende possibili (il “come”), e senza confondere la credibilità di quest’ultima con quella di singoli progetti o attori.

Anche se davvero avesse ragione Jimmy Song, non ci vediamo nulla di sbagliato nel possedere un martello e cercare il chiodo giusto da piantare per impiegarlo al meglio, come già accaduto per molte tecnologie poi diventate di uso comune…il che però non significa giustificare il fatto di piantare chiodi dappertutto solo per vantarsi di aver usato il martello.